giovedì 26 febbraio 2015

Arrivederci, Giacomo Rondinella...





                  Arrivederci, Giacomo Rondinella...

Diversi anni fa, circa venti, alla fine degli anni Novanta, ci fu uno spettacolo estivo sul piazzale esterno del complesso fieristico detto "Le Ciminiere" di Catania, in piena estate: fra i cantanti ospiti in una sera di fine luglio, c'era un "divo" della grande canzone napoletana in Italia e nel mondo: Giacomo Rondinella. Era stato per decenni negli Stati Uniti,  aveva assunto in parte lo "stile Sinatra". Fu una serata memorabile, interpretata con quella voce melodiosissima che le nostre mamme, nonne e zii amavano: una voce unica, che non a caso fu scelta dal Principe De Curtis, in arte Totò, per fargli incidere, nel 1951, la celeberrima canzone "Malafemmina", che è ancora un successo irripetibile, perchè legata alle sue inclinazioni vocali. Giacomo, anzi Giacumì, come lo si chiamava allora, è morto nella notte tra mercoledì 25 e giovedì 26 febbraio, presumibilmente di vecchiaia, ultranovantenne, nella sua casa alle porte di Roma. Con lui scompare un'epoca indimenticabile, quella dell'Italia del dopoguerra, della felice ricostruzione, della miseria e dei sentimenti: l'Italia del Motom (chi lo ricorda, il famosissimo ciclomotore che fu fondamentale in quegli anni... chi lo ha ancora, chi lo cerca, non lo dimentica più), delle biciclette Bianchi, di Coppi e Bartali, della radio nella stanza buona, delle cronache di Carosio, dei primi programmi televisivi, dei governi De Gasperi e Fanfani, delle case popolari... soprattutto, una Patria di cuore. Quel "cuore" che la melodia napoletana rappresentava esplicitamente, e ora non c'è più. Oblìato? Speriamo, o illudiamoci che nascosto sia.
Rondinella era figlio e nipote di attori (anche suo fratello Luciano cantava, ed è un discografico), e mentre la sua famiglia era in giro a rappresentare commedie e sceneggiate, in Sicilia nasceva: a Messina precisamente, nel 1923. Ritroviamo nelle cronache del 1946, quando imperversava la passione per il referendum pro monarchia o repubblica, la famiglia Rondinella a Catania, in "M'avita perdunà", "Catene" e la classica "Pupatella".  Il popolo sgomitava per assistere a questi spettacoli che coniugavano l'impeto delle masse con l'istinto e i classici sentimenti del meridione.   Ma Giacomo era bello, era aitante: doveva fare del cinema per cui, debuttando nel 1944 (contemporaneramente a un altro grandissimo, Sergio Bruni, "the voice of Naples"), scelse per lo più la carriera cinematografica, dove peraltro trasportò (in teatro fu ingaggiato, tramite Totò, nelle compagnie di Eduardo e Peppino De Filippo) le sceneggiate dei genitori, in un sequel di melodrammi benissimo diretti da registi artigiani e professionisti come Pàstina, Brignone, Giannini, Majano, Costa, Mastrocinque e con attori tratti dal teatro partenopeo: i fratelli Beniamino e Dante Maggio, Tina Pica, il celebre catanese Giovanni Grasso junior. Fece coppia con Maria Fiore in molti films amatissimi dalle "sartine", come era moda nei primi anni Cinquanta: e scoprì Virna Lisi, che con lui recitò pure in quelle pellicole, quasi tutte rigorosamente in un bellissimo bianco\nero. Rivederle oggi è una gioia e un diletto, se si considerano gli anni trascorsi. Rondinella ha fatto pure fotoromanzi, un genere in quel tempo molto à la pàge,  assai venduto. "Piscatore è Pusilleco" fu un fortunato feuilletton di codesto filone. Fra "Città canora", "Desiderio e sole", "Lettera napoletana", "Cuore di mamma" (con la celeberrima soprano Toti Dal Monte), i titoli dei suoi films, sono un canto purissimo al popolo italiano -in particolare le classi più umili, c'era sempre la coscienza di classe in quelle pellicole, ove trionfavano i buoni propositi ma sempre tra gente della medesima estrazione sociale- che con assoluta ed intemerata virtù si sollevava dalla tragedia della guerra, in pieno entusiasmo e con la voglia di vivere, che oggi è assente o spenta nelle generazioni.
Giacomo Rondinella vola negli anni Sessanta e Settanta in America, capisce che i tempi sono cambiati ma lui resta lo stesso, lo stesso di "Guapparia", "Munasterio e Santa Chiara" e "Tiempe belle e na vota": sarà ultimamente ospite in tv per programmi di revival, ma era solo l'eco di anni irripetibili.
Vogliamo ricordarlo con un abbraccio ideale, come si fa per un grande artista che non se ne va del tutto, perchè l'Oriente eterno accoglie l'anima ma il ricordo resta perenne, in quanti ne amarono le doti supreme e le note nostalgiche di epoche la cui dolcezza scolora fra le vie dell'infinito.

                                                                                                      F.Gio


Qui il link alla pagina Youtube ove è il film completo, protagonista Giacomo Rondinella, "Città canora", del 1952:  https://www.youtube.com/watch?v=ithM-eVBXdc

martedì 24 febbraio 2015

Conferenza su Domenico Tempio, Catania 3 marzo 2015, ore 16,30, Museo Emilio Greco




Nell'ambito della XV edizione di "Viaggio tra le vie dell'Arte"
organizzata dall'Associazione Akkuaria 
col patrocinio del Comune di Catania

martedì 3 marzo 2015 alle ore 16, 30
nei locali del Museo Emilio Greco di Catania
piazza San Francesco all'Immacolata 3

si terrà la conferenza : 
"Domenico Tempio e la Catania del secolo dei Lumi"
relazionerà Francesco Giordano, scrittore
autore del libro "Domenico Tempio cantore della Libertà", ed.Akkuaria 2011

mercoledì 18 febbraio 2015

Guerra alla Libia contro i fanatici ? Avessimo avuto i nostri ascari e meharisti...


              Guerra alla Libia contro i fanatici ? Avessimo avuto i nostri ascari e meharisti...

Si parla ormai apertamente di "guerra" alla Libia, o a quell'agglomerato di ribelli estremisti islamici, detto Isis, che si è da qualche mese installato a Derna, nella regione di Cirenaica e pare anche a Tripoli, nel caos della fine della dittatura di Gheddafi, come si sa "promozionata" da Francia e alleati, fra cui i nostri itali aerei. La storia ritorna, si ripete, per chi la conosce. Nel 2011 all'atto dei bombardamenti "liberatori" su Tripoli e Bengasi dei nostri apparecchi, ricordammo che la prima operazione di aviazione leggera di bombardamento al mondo, fu attuata dall'allora governo di Sua Maestà il Re d'Italia, primo ministro Giolitti, con il bombardamento della capitale tripolina, nell'ottobre 1911. Ciò non giovò tanto perchè dopo averla occupata, il 23 ottobre di quell'anno, mentre nella nostra Patria (e soprattutto fra la sinistra, i socialisti: uno solo, anzi due, si opposero fermamente a quella guerra e vennero arrestati: si chiamavano Benito Mussolini e Pietro Nenni... poi le cose si misero diversamente...) si inneggiava al buon arabo e a "Tripoli bel suol d'amore", gli infidi libi travestiti da pastori, massacravano crudelmente 500 nostri bersaglieri, comandati dal colonnello Fara, a Sciara Sciat, alle porte della città. E' stato il primo impatto feroce di una guerra che fu, ed è oggi pure, guerriglia spietata. Però ai tempi si capì subito che per contrastare la subdola acquiescenza delle popolazioni libiche, servivano truppe speciali, e noi le avevamo perchè reduci da lunghe campagne coloniali nell'Affrica orientale, in Eritrea e Somalia: erano gli ascari, i dubat e i meharisti. Vai a spiegare ai giovani d'oggi, che quei neri eritrei e somali si facevano letteralmente ammazzare per l'onore (sì, l'onore...) del tricolore d'Italia, e così fecero anche in Libia. E vai a precisare, oltre la tronfia retorica post-gheddafiana (che giustamente fu spazzata via nell'autunno 2011 quando La Russa, ministro della Difesa, si sentì dire dal premier libico che "non dimenticheremo mai i benefici fatti dall'Italia alla Libia durante il periodo coloniale"), che furono proprio reparti di meharisti, ovvero soldati locali libici in groppa al cammello, a catturare nel 1931 il guerriero ribelle Omar el Muchtàr, che venne impiccato dalle autorità italiane per aver ucciso e seviziato nostri soldati, poco dopo. Vai a precisare, nell'Italia tarlata dalla dimenticanza storica del 2015, che un certo generale Antonio Cantore, genovese, alpino, già a Bengasi, guidava gli ascari prima della grande guerra nelle più aspre battaglie contro i ribelli libici e la Senussìa (una confraternita religiosa che poi assurse al Regno di Libia con Idriss nel 1951: sia detto chiaro, e noi lo scrivemmo qui: se le potenze dell'Europa e gli Stati Uniti, subito dopo l'abbattimento del dittatore quattro anni fa, avessero rimesso sul trono il nipote di Idriss, il Senusso che oggi vive a Londra, e magari data in gestione militare la situazione al generale Haftar, non ci sarebbe stato il pericolo degli assassini fanatici di oggi: la Monarchia unisce, la repubblica, la si chiami jamahirìa in libico, divide sempre... lo disse già un grande siciliano pure spietato, Crispi); e che un certo Maresciallo ed eroe coloniale che si appellò Rodolfo Graziani (figura di cui l'Italia militare avrebbe oggi bisogno più che mai, ma non risulta vi sia...) fu l'unico a pacificare la colonia libica. Con mezzi spietati e perversi, siamo d'accordo: presi per fame, accerchiati dal filo spinato, fucilati i ribelli senza pietà. Ma come volete in altro modo piegare chi, allora mutilava di mani e gambe senza pietà i soldati, e oggi li brucia nella gabbia (siamo sempre lì...)? Un grande siciliano, il colonnello Castagna, resistette eroicamente nell'oasi di Giarabub durante il secondo conflitto mondiale, nel 1941 (celebre la canzone "la sagra di Giarabub"); mentre fu per la eleganza e lo stile brillante di un grande condottiero che riposa l'eterno sonno ancora in terra d'Affrica, Amedeo di Savoja Duca d'Aosta (allora Duca delle Puglie), che si compì la conquista del lontanissimo Fezzan, nel sud libico (ove pare oggi siano operanti commandos francesi e ciadiani per contrastare il terrorismo islamista), come dell'oasi di Cufra, nel 1930-31. Su questa impresa leggendaria il regime di allora girò nel 1936 (vincitore della coppa Mussolini al festival di Venezia) uno splendido film, che la codarda tv non fa conoscere ma che dovrebbe essere trasmesso in prima serata, "Lo squadrone bianco"  (regia di Augusto Genina -che poi avrebbe girato "L'assedio dell'Alcazar", "Bengasi" e nel dopoguerra "Il cielo sulla palude", biografia di Santa Maria Goretti), epopea della nostra guerra coloniale con fotografie meravigliose del deserto affricano.
    Allora l'Italia era grandemente rispettata nel mondo perchè ebbe un nerbo saldissimo di esercito che sapeva contrastare qualunque ribellione: quello coloniale, ascari eritrei e somali (detti dubat), zaptiè (carabinieri somali: uno di costoro poi lo "creammo" Presidente nel 1969, si chiamava Siad Barre...), e soprattutto meharisti, durissimi e resistentissimi guerrieri delle bande delle tribù libe (le prime furono le cosiddette "bande del Ghariàn"), che conoscevano il territorio come nessuno e sapevano con gli stessi mezzi, contrastare le avanzate e soprattutto le imboscate.
Questa è Storia, oramai non più letta con spirito di parte, ma con grande serenità: chi voglia consulti il volume, del 2002, "Squadrone bianco", del collega Domenico Quirico; oppure la biografia del Duca D'Aosta di Amedeo Tosti, oppure le ancor oggi validissime guide del Touring dei Possedimenti e colonie, degli anni 1929-1940 (all'epoca fiorì tutta una letteratura, cosiddetta coloniale: tra i tanti romanzi, ne rammentiamo uno bellissimo: "La sperduta di Allah", di Guido Milanesi, degli anni trenta): vecchie letture che rispolverammo in questi giorni bellicosi.    Certo possiamo comprendere che, dopo il termine "combattere in Libia" usato dal ministro degli Esteri Gentiloni, il Presidente del Consiglio Renzi ci vada cauto e "freni" politicamente, aspettando l'ONU (che poco potrà fare): forse qualcuno gli avrà sussurrato qualche storia fra quelle da noi accennate: del resto è da almeno due millenni, se si eccettua la dominazione dei Caramanli in Tripolitania e quella greca della Pentapoli cirenaica (secoli XVII e XVIII e anni VI-III prima di Cristo), che la Libia nel complesso ribolle nell'anarchìa. Tripoli venne occupata per quarant'anni da Carlo V nel XVI secolo ma poi cadde nuovamente, prima ci aveva pensato il normanno siculo Ruggero II, primo sovrano di uno stato unificato nazionale, con reggia a Palermo e sovranità sull'Italia meridionale, nel XII secolo; nel 1805 pure gli Stati Uniti, che ora sono silenti, occupavano Derna per imporvi un "amico", un Caramanli, da contrapporre al parente tripolino...fra l'altro Derna era famosa per essere stata rifondata da commercianti ebrei, e la presenza ebraica in Cirenaica era importante, ora svanita... ci fossero stati lì gli ebrei al governo, sarebbe stato diverso.  Con tutto questo ingombrantissimo passato, che pesa eccome sul futuro, si comprende la cautela del fiorentino capo del Governo: egli certo non dimentica di essere a palazzo Chigi senza una diretta legittimazione popolare (se si eccettuano le Europee, vinte sì dal PD ma che non sono le elezioni nazionali...).  E non crediamo che il governo Renzi, come fece il governo De Gasperi negli anni '40, possa rivendicare all'ONU l'amministrazione fiduciaria della Libia, come si scelse per la Somalia in quanto ex colonia (l'AFIS è ancora ottimamente ricordata nel corno d'Africa, nella bailamme somala, come ottimo esempio di buon governo.. allora però la Libia era in mano del governo inglese che scelse di installare una monarchia unita... ma chi ricorda che lo stesso Gheddafi studiò a Sandhurst nell'accademia britannica come ufficiale? Facile fare retorica...).
Insomma, per dirla in brevità, siamo nei guai fino al collo, in politica estera, con i tagliagole alle porte della Nazione, segnatamente da noi in Sicilia, e gli sbarchi che si susseguono (pare che a Sirte gli islamisti abbiano il controllo del rilascio passaporti, e i nostri servizi segreti dovranno certamente monitorare di più chiunque con documento libico si introduca anche legalmente in Italia...). Per fortuna, a scanso di tutti quei pacifisti della domenica e dei manifestanti dell'estrema sinistra (ma col portafoglio sempre a destra, avrebbe detto il buon Prezzolini...) contrari agli "yankee", c'è da decenni alle porte di Catania la base aeronavale statunitense di Sigonella. Volete mettere, per noi siciliani ( anche un po' legati alle tradizioni d'ogni genere), il conforto psicologico, e soprattutto logistico militare?
"Inshalla mabrùk", direbbe un mussulmano di cui ci fidiamo e che sta provvedendo ad "ammorbidire" la situazione libica, il presidente generale egiziano Abd el Fattah al Sisi, degno emulo del grande Nasser. E che il Supremo Artefice sia benevolo per tutti coloro che scelgono la fraternità in vece dell'odio.
                                                                                                                            F.Gio


Nelle immagini: sfilata di ascari a Roma innanzi Sua Maestà il Re Vittorio Emanuele III nel primo anniversario dell'Impero, 9 maggio 1937; la locandina del film "Squadrone bianco", 1936.



domenica 1 febbraio 2015

Il nuovo Presidente Mattarella e la Sicilia




                Il nuovo Presidente Mattarella e la Sicilia

Dal 31 gennaio, che per i cattolici è la festa di San Giovanni Bosco, il santo dei ragazzi specie quelli più bisognosi (e per gli esoteristi è l'immortalità, il 13 al contrario...), l'Italia ha un nuovo Presidente della Repubblica. Per la prima volta dalla nascita del nuovo stato nel giugno 1946, è un siciliano: Sergio Mattarella, quasi 74 anni, giudice Costituzionale, già ministro DC negli anni Ottanta. Dopo tre Presidenti napoletani, due sardi e gli altri del nord, diciamo pure che alla Sicilia spettava questo onore, con un candidato degno. E il professore Mattarella certamente lo è. Si conosce la sua famiglia, originaria più che di Palermo, di Castellammare del Golfo: pare sia di umili origini. Il padre fu più volte Ministro nei governi da De Gasperi in poi, il fratello maggiore fu Presidente della Regione Siciliana e venne barbaramente trucidato da mano assassina nel gennaio 1980: trentacinque anni dopo quel fratello che lo tenne fra le braccia cogliendone l'ultimo respiro, assurge alla massima carica dello Stato repubblicano. Laddove i simboli hanno importanza, si fanno notare.
In queste ore, e continuerà nei giorni prossimi, si ciancia tanto, "chiacchiarìa" come si dice nell'isola nostra, del ritorno o trionfo o rigurgito della vecchia Democrazia Cristiana: Mattarella è sempre stato un "moroteo", si risveglia la "balena bianca", eccetera. La realtà è più semplice e complessa insieme, a nostro avviso: da parte del Presidente del Consiglio Renzi, che è pur nella spregiudicatezza del "nominato" più scaltro e abile politicamente di quanto ci si aspettasse, si còlse la sensibilità comune,  nella fattispecie meridionale e siciliana, di quello che vorremmo definire il "nostalgismo di ritorno", che non alberga soltanto nelle anime dei pensionati e di coloro che hanno passato gli "anta", ma per sublimazione più che per rassegnazione psichica -perchè nulla si crea e si distrugge ma tutto si plasma alchemicamente- anche fra le ultime generazioni cresciute a computer e facebook, che del democristiano transitato al PD Mattarella nulla sanno, ma ogni giorno dai mezzi di comunicazione e dalle famiglie senton dire, che fino agli anni Ottanta del XX secolo "si stava bene e la società era migliore".
Non era esattamente così, noi lo rammentiamo: ma una gran parte di verità c'è, è innegabile. Ed è stato perfettamente delineato, in un frangente di pericolo immane per la sicurezza dei popoli d'Europa seguito ai sanguinari atti terroristici di Parigi, il profilo tranquillizzante di un Capo dello Stato che, nella sua adamantina serietà e trasparenza nei valori come nel suo essere "ncristiànu bbònu", sempre per usare l'espressione popolare della lingua siciliana, manifesta in maniera esatta il senso di rassicurazione da dare all'intiera Nazione, nonchè un segnale chiaro al meridione ed alla Sicilia.
Già, la Sicilia. L'assessore all'Economia ci spiegò giorni fa che in sede di esercizio provvisorio, il bilancio regionale, gravato da un mutuo strictu sensu necessario alla sopravvivenza dell'ente Regione, è tecnicamente in fallimento. Ma il Presidente Crocetta, espressione della minoranza che nel 2012 andò a votare (per la prima volta nella storia delle elezioni siciliane), gòngola per l'elezione del primo Presidente siciliano. Fra l'altro Mattarella in qualità di giudice della Consulta, insieme al Presidente della Corte Gaetano Silvestri (altro siciliano, già rettore dell'Alma Mater di Messina), pochi mesi fa siglò lo "svuotamento" di fatto delle funzioni del Commissario dello Stato, che come già spiegammo in altro nostro intervento, dal 1944 gravava come un macigno sul governo autonomista della Sicilia.  Sempre segnali che chi sa, può cogliere.
Alcuni paventano da ciò una possibile diminuzione del ruolo delle regioni a Statuto speciale, nei prossimi mesi: è possibile. Come non crediamo parimenti ipotizzabile che lo Statuto siciliano, nato per regio decreto da parte di Re Umberto II il 15 maggio 1946 in seguito alla guerra civile che in Sicilia contrappose l'allora Regio governo del CLN al Movimento Indipendentista (e il neo Presidente Mattarella lo sa bene, per tradizione paterna), possa essere "depotenziato" nelle sue parti salienti: casomai potrebbero essere ridiscussi certi passaggi sulla gestione finanziaria, con la supervisione del nuovo garante della Costituzione e dell'Unità nazionale, il quale conosce, per farne parte, benissimo la forma mentis del siciliano che si sente "altra razza" da chiunque, ma in senso federalistico gradisce (reciproca convenienza?) di continuare a fare parte della compagine nazionale. Nè dimentichiamo il ruolo strategico che la Sicilia ha svolto dall'estate 1943, svolge e svolgerà in futuro, per la NATO e nella fattispecie, i nostri alleati statunitensi (sognammo, o alcuni sognarono, di essere il "Movimento per la 49° stella"...), per la sicurezza del mondo libero.
Per tutto ciò, vediamo positivamente l'elezione del professor Mattarella, a cui formuliamo i migliori auguri per il settennato, auspicando non solo l'attenzione massima, come ha già dichiarato, verso gli ultimi, i poveri, i più disagiati economicamente (più di un milione in Italia!), ma anche di ridurre le sfarzose spese quirinalizie (224 milioni di euro nel 2015, a fronte dei 48 milioni del palazzo reale britannico di Sua Maestà Elisabetta II...) a pro dei bisognosi e dei disastrati.  Tanto per essere concreti, il reddito minimo di inserimento per le fasce più deboli (disoccupati, famiglie povere e anziani con reddito insufficiente) che chiede la Comunità Europea e l'Italia ancora non si decide ad applicare (alla Camera vi sono proposte in tal senso nelle relative Commissioni), potrebbe essere finanziato da tali decurtazioni. Sono sempre segnali, che un Presidente dalla storia personale e familiare integerrima, può dare.
Salutiamo infine il nuovo e dodicesimo inquilino del Colle romano, con un celebre salmo davidico, il 132 (133 nella nuova versione), che farà piacere rileggere nella lingua millenaria, il latino:
Ecce quam bonum et quam iucùndum, habitàre fratres in unum:
Sicut òleum òptimum in càpite, quod défluit in barbam, barbam Aaron,
quod défluit in oram vestiménti eius;
sicut ros Hermon, qui descéndit super montem Sion:
nam illic largìtur Dominus benedictiònem, vitam usque in saèculum.
Ecce, quam bonum et quam iucùndum, habitàre fratres in unum!

                                                                                                                 FGio