lunedì 7 ottobre 2013

E' morto centenario Giap, rivoluzionario vietnamita... la Storia in un libretto





E' morto centenario Giap, rivoluzionario vietnamita... la Storia in un libretto

Tra i primi libri che, da bambini, ci colpirono nella biblioteca paterna, ce n'era uno piccolo, dalla copertina rossa, con stampato un guerrigliero vietnamita in assetto di guerra. Ricordiamo il titolo, indimenticabile: "Guerra del popolo, esercito del popolo", con prefazione di Che Guevara, edizioni Feltrinelli. Lo leggevamo con curiosità, perchè raccontava della battaglia di Dien Ben Phu, dove le truppe vietnamite sconfissero nel 1953\54 la potenza coloniale francese mettendo fine al dominio della nazione europea nella penisola indocinese. E poi cartine, tecniche di guerriglia. Era scritto quel libro, edito in Francia nel 1961 e in Italia nel 1968, da un tizio per noi ragazzini dal nome strano: Vo Nguyen Giap. Papà diceva che il generale Giap, così era appellato nelle cronache, era un eroe dell'indipendenza del suo paese. Erano resoconti di guerra, scritti in linguaggio sobrio, ma stranamente non proprio militare, bensì con una conoscenza non superficiale della storia d'Europa, che evidentemente questo vietnamita capo dell'Esercito del suo paese, aveva studiato bene.

Pensammo pochi giorni fa a tale libro, apprendendo dalle notizie la morte del Generale Giap, il 4 ottobre: alla veneranda e ammirevole età di 102 anni! Era un sopravvissuto, evidentemente, di stagioni politicamente lontane nel tempo. E da giornalisti (a questo punto cominciamo a sospettare che la lettura anche di quel libro, come di altri di storia e narrativa, ci abbia inevitabilmente avviato a codesta professione, bella impossibile ma inevitabile... e non consigliabile ai figli.... come scriveva Matilde Serao -comunque il suo figliolo non la ascoltò- ne "I capelli di Sansone") siamo rimasti colpiti dallo spazio che l'International Herald Tribune ha dedicato, nel suo ampio articolo commemorativo, a Giap. Egli è stato l'uomo che ha vinto la cosiddetta "sporca guerra" del Vietnam contro gli Stati Uniti, finita con la celebre fuga dall'ambasciata americana di Saigon nell'aprile 1975, immagini che ricordiamo dalla tv in bianco e nero. Il commentatore ricorda correttamente che l'offensiva del Tet del gennaio 1968, voluta da Giap per scopi più propagandistici che utili, se fu un insuccesso militare e provocò 40 mila morti vietnamiti, ebbe immense ripercussioni nell'opinione pubblica statunitense, "svegliando" le coscienze popolari nell'opposizione a quel conflitto impressionante. Qui in Europa c'era la voce autorevolissima del filosofo Bertrand Russell ad opporsi, nonagenario, a quella guerra: l'intervista-documentario "The fog of War" del 2003 dell'ex Segretario di Stato Robert McNamara, ha chiarito definitivamente la posizione Usa al riguardo. E per noi cresciuti comunque col mito dei "Berretti verdi" (celebre il libro e più ancora, l'omonimo film con protagonista l'immenso John Wayne), che erano eroi di libertà contro il fanatismo comunista, se allora Giap e tutti i vietcong rossi erano nemici, oggi lo scorrere del tempo ci fa dire che in ogni caso lottarono per una idea di libertà della loro Patria, giusta o sbagliata che fosse, asservita al fanatismo ideologico o nazionalista. In particolare Vo Nguyen Giap, che era un avvocato, studiò legge nell'Università della capitale e fu comunque un comunista moderato, si oppose da Ministro della Difesa e Vice primo Ministro, al regime cambogiano di Pol Pot. E pur potendo assumere la leadership del Vietnam dopo la morte di Ho Chi Minh nel 1969 non volle, preferendo rimanere nelle seconde file seppure in scranni di comando. Come sa fare un rivoluzionario vero e non assetato di potere. "Se il nemico attacca noi ci ritiriamo, se il nemico si ritira noi attacchiamo", fu la massima di colui che è divenuto il teorico della guerriglia ben più di Guevara, il Generale Giap, nel XX secolo: e contro le cui strategie hanno avuto molto filo da torcere, seppure la guerriglia è una fase inferiore della guerra possente e tradizionale, le potenze mondiali come la Francia prima, gli Stati Uniti poi. Stati Uniti i quali, da grande democrazia, si possono permettere anche di elogiare il vecchio, centenario nemico quando muore. Dimostrando in ogni caso la superiorità filosofica del concetto di fraternità e tolleranza a fronte del fanatismo e dell'oscurantismo che nei millenni è stato ed è la rovina delle collettività umane.

Questo per inquadrare in una visione cosmica, la dipartita di Vo Nguyen Giap, che presa in sé è la morte di un vecchio secolare. Ma dove sarà ora quel suo libretto di cui prima si narrava? Sepolto fra i tanti e tanti libri che si sono accumulati nel corso degli anni, o dimenticato, oppure passato, come gli anni irrecuperabili della fanciullezza....
F.Gio

(Tra le immagini, una storica: la riconciliazione fra i "nemici: McNamara e Giap si incontrano ad Hanoi nel 1995; il libretto; John Wayne ne "I Berretti Verdi")

mercoledì 21 agosto 2013

L'intervento dei militari in Egitto salva lo stato laico




L'intervento dei militari in Egitto è la salvezza dello stato laico

L'intervento dei militari per ripristinare l'ordine e la sicurezza nell'Egitto, sta scatenando nell'informazione italiota, una ridda di commenti e analisi, dalla radio ai giornali (ormai quasi tutti consultati online) alla tv, la più gran parte inclini al chiacchiericcio in malafede. E diciamo in malafede perché la realtà, semplice e trasparente, è riassumibile nei seguenti punti:

I) nessuno può e deve ingerirsi negli affari interni di una grande nazione, per lo più di storia ultramillenaria, come l'Egitto: se il Consiglio Supremo delle Forze Armate, dopo la rivolta del 2011, ha deciso che la parentesi di un anno dell'ex presidente islamista Morsi, sostenuto dai Fratelli Musulmani, deve essere chiusa, è unicamente per difendere la laicità dello stato egizio, che nasce nel 1952 ad opera di Neguib e Nasser come un modello di governo musulmano incline alla visione occidentale, proprio ad opera dell'Esercito e delle altre Forze Armate, e però con il supporto indispensabile del cosiddetto modo della cultura, ovvero scrittori intellettuali e storici, che videro la nuova aurora del paese dei Faraoni, e non permetteranno che esso si trasformi in un attendamento dei fondamentalisti islamici; ancora viva è l'eco dell'assassinio del presidente Anwar Sadat nel 1981 da parte degli estremisti: quell'uomo di pace e illuminato, pagò con la morte il suo ideale;

II) il cosiddetto "colpo di stato" dei militari di queste settimane, altro non è che una operazione di salvezza nazionale che vede esprimersi al fianco dell'attuale "uomo forte" dell'Egitto, il generale Al Fatah al Sissi, la massima autorità religiosa, ovvero l'Imam della grande moschea cairota di Al Ahzar, nonché il cosiddetto "Papa copto", cioè Teodoro II capo della Chiesa copto caldea d'Egitto; e per i cattolici, persino il Patriarca di Alessandria si è espresso unanimemente a favore dell'intervento moralizzatore dei militari;

III) la popolazione è nella sua maggior parte, a favore dei militari e per la conservazione dello Stato egiziano nella sua integrale laicità. E' troppo pericoloso permettere alla Fratellanza Musulmana -come avvenne dopo le elezioni del dicembre 1991 in Algeria vinte dal Fronte di Salvezza Nazionale, poi sciolto il mese dopo- di governare l'Egitto e renderlo una nazione dove si diffonde la sharìa, ovvero la legge coranica. Neppure durante il periodo del califfato Ommayade si era giunti a tali estremi di fanatismo a cui la Fratelllanza si è spinta in quest'anno di governo, pertanto i militari e il gruppo laico degli uomini di cultura dell'Egitto (qui si sente la mancanza del grande scrittore Naghib Mahfuz, morto nel 2006, che venne in tarda età accoltellato proprio da fanatici islamisti) hanno fatto bene ad intervenire anche con la forza;

IV) a mali estremi, estremi rimedi: la repressione di oggi elimina i drammi del domani, e se il governo dell'Egitto fosse rimasto ancora nelle mani dei fanatici islamisti, i morti sarebbero stati ancora di più. Quindi non fa piacere notarlo, ma si devono ad ogni costo reprimere le manifestazioni terroristiche;

V) fanno un cattivo servizio alla stampa mondiale quei giornalisti (quelli italiani sono per caso comunisteggianti? Ma guarda un po'....!) che non raccontano la verità, ossia che la popolazione egiziana sostiene l'intervento dei militari e non vuole esser assoggettata all'oscurantismo di una dittatura religiosa medievale, come fu l'Afghanistan dei Taliban o peggio, soggiacere ad attentati stile al-Qaida: mentono per i più svariati motivi coloro che parteggiano per i fanatici islamisti, quindi la Giunta militare ha il dovere di "strigliarli";

VI) dulcis in fundo, i nostri italici commentatori da poltrona, sono molto più ignoranti della nostra Storia, e della grande Storia, del Generale al Sissi e dei vertici militari (che hanno studiato a Londra e Washington, dove si approfondisce davvero l'indagine storiografica...) e degli scrittori e intellettuali d'Egitto. Chi infatti ha letto, letto bene, Erodoto, le vicende dei grandi Faraoni o il De bello gallico di Cesare, sa che solo chi ha ottenuto con la forza anche spietata e brutale la vittoria sul campo, può permettersi di fare concessioni (così il generale in un discorso in tv pochi giorni fa) agli avversari, perché essi hanno già le reni spezzate. Solo chi ha la potenza può imporre la pace, ma dopo la vittoria.

Quindi, viva l'Egitto laico e la sua storia e cultura, difesa in nome dell'Unico Dio, dalle forze armate di quel glorioso popolo. Attendiamo che anche in Turchia, così come già avvenuto in Algeria, i militari, se è necessario, svolgano il medesimo compito, sostenuti dalla popolazione. L'Islàm è una grande religione tollerante e giammai estremista, ce lo dice il passato come il presente. L'Italia non può dire nulla al riguardo, perché militarmente la sua storia si spezza il fatale otto di settembre del 1943. E non risulta ci siano più state resurrezioni. Molto meglio i "berretti verdi" del celebre libro degli anni Sessanta.... Così un insegnamento di Meri-ka-ra: "Per gli uomini, Dio ha creato capi in grado di dirigere, sostegni per sorreggere la schiena dei deboli".    Infine suggerisce Amenemope: "il coccodrillo non emette alcun suono: eppure, è temuto da tempo"...
Francesco Giordano

mercoledì 3 luglio 2013

Scompare Emilio Colombo, l'ultimo dinosauro Dc.... si sapeva già tutto con il film del 1972, "All'onorevole piacciono le donne..."


Pubblichiamo il seguente articolo, apparso sul quotidiano online LinkSicilia, il 26 giugno 2013:

Colombo: l’ultimo dinosauro Dc


di Francesco Giordano (26/6/2013)

Quando la notte fra il 24 e il 25 giugno di quest’estate 2013, è morto, a Roma, il Senatore a vita ed ex Presidente del Consiglio Emilio Colombo -raggiungendo dopo un mese circa il collega Giulio Andreotti, coetaneo- , abbiamo pensato che se n’era andato a quasi 93 anni, l’ultimo “dinosauro” della defunta Democrazia Cristiana. E per noi che abbiamo superato la boa dei quarant’anni, è un segno del tempo che avanza. Personalmente Colombo un tantinello ci riguarda: era lui il capo del governo quando chi scrive venne alla luce; poi lo incontrammo qui nella nostra Catania già grande feudo DC, circa un decennio or sono, in un convegno di ex “democrìsti”. aveva il piglio di colui che era stato al potere in tempi di grande stile, e anche se non era una figura illuminata come Moro o Fanfani, si dava le arie di quella stirpe, di cui aveva condiviso successi e glorie e anche polvere.colombo
I “coccodrilli” dei giornali, mentre la tv lo ha poco ricordato, sono stati tutti o elogiativi o elusivi della sua multiforme personalità di uomo del sud ammanigliato coi potenti del tempo. Era l’ultimo “padre Costituente”, fu più volte ministro, Presidente del Consiglio, ecc. Solo “Il Fatto” ha quasi incidentalmente ricordato che nel 2003 venne coinvolto in una storia di droga (probabilmente, aggiungiamo noi, per “bruciare” la sua candidatura allora ventilata alla presidenza della Repubblica): riceveva e consumava abitualmente cocaina: ma si scusò in pubblico, scrive il quotidiano. E’ vero, si è scusato. Però come non connettere, per noi che ricordiamo la storia, la sua ascesa politica a Ministro dopo lo scandalo, a base di festini hard e droga, del 1953 che vide la morte della povera Wilma Montesi e la caduta dell’allora Ministro Piccioni? Forse un filo che continua….
Ma Colombo è suggellato nella memoria della cronaca collettiva, di questi giorni e anni senza memoria -infatti nessuno ha còlto o voluto scriverne, il nesso- da un film bellissimo nel suo essere grottesco e di denuncia, una pellicola del 1971, uscita nel 1972 e allora fortemente censurata e osteggiata (ci furono interrogazioni parlamentari, divieto ai minori di 18 anni, critici marxisti ferocemente nemici, ecc.), del regista Lucio Fulci e con protagonisti il palermitano Lando Buzzanca e Laura Antonelli: “All’onorevole piacciono le donne”.film
Se avessimo avuto una televisione, pubblica e privata, libera e non schiava del potere quale ch’esso sia, questo film si sarebbe dovuto trasmettere, alla morte di un gerònte DC come Colombo. Perchè quel film, nel personaggio protagonista impersonato da Buzzanca, l’onorevole Puppis, ridicolizza proprio l’allora capo del governo, che era Colombo, di cui erano notorie, specie nell’ambiente della Destra italiana -la DC lo sapeva ma era proprio l’ipocrisia del tempo- le tendenze omosessuali, come oggi si dice, mascherate dietro l’ossessione per le donne e gli amori per una Suora (unica vergine in un convento…).
E non solo. Il film denuncia lo spaventoso intreccio tra Vaticano, mafia e attentati (vi dice nulla tutto ciò nel 1972, a molti anni di distanza dalle stragi di Falcone e Borsellino di cui non si conoscono i mandanti occulti? Lèggasi le dichiarazioni del “pentito” Vincenzo Calcara riportate con coraggio da Salvatore Borsellino…) per far giungere al Quirinale Puppis: con l’esplosione di un aereo, muore in volo l’avversario designato, Torsello, per volontà del Cardinale (impersonato dal bravo Lionel Stander).
Non possiamo evitare di pensare a quell’aereo partito nel 1962 dall’aeroporto di Fontanarossa di Catania e precipitato per una misteriosa esplosione in volo a Bascapè, nel canavese, nel 1962: a bordo c’era e moriva il Presidente dell’ENI Enrico Mattei, un uomo libero, un vero combattente per l’Italia. Ministro dell’Industria dell’allora governo Fanfani, era Emilio Colombo. Sempre fervido atlantista.
Se la cinematografia ha insegnato qualcosa ed è stata anticipatrice lucida o visionaria di un fòsco avvenire, non sappiamo. Ma il “fil rouge” sembra quello. Ora la morte del “dinosauro” Colombo, con il suo viso da maschera di cera di un tempo in cui la Nazione italiana era certo più prospera e felice, ma anche molto, molto ipocrita e bacchettona, depone l’oblìo sul cadavere. O forse, sui cadaveri. Parce sepulto.

martedì 4 giugno 2013

La Catania che va al voto: come una nobile decaduta, non si illude più...

Pubblichiamo il seguente articolo, apparso sul prestigioso quotidiano online LinkSicilia il 1 giugno 2013:

La Catania che va al voto: come una nobile decaduta, non si illude più…


di Francesco Giordano (1/6/2013)

 

Le elezioni comunali che si terranno in Sicilia il 9 e 10 giugno, vedono Catania fra le città di primaria importanza, per risultati e per aspettative. Sia consentito a chi scrive, catanese studioso e appassionato delle tradizioni e antichità e del vissuto civico come attento al quotidiano, tracciare un breve quadro della situazione cittadina, alla vigilia dell’importante appuntamento.
Come una nobile decaduta che ha perduto la sua prisca grandezza, e similmente ad altre comunità, sopravvive per forza d’inerzia e con quel minimo di passione per non morire, senza sperare miglioramenti da alcuno nelle proposte politiche apparentemente diverse, in realtà appiattite nell’effimero e nel “particulare” del proprio personale tornaconto, imperante l’egoismo più becero: questa è la palpabile sensazione della popolazione di Catania, prima delle ennesime consultazioni. Non ci si crede più. Oppure chi ancora finge di crederci, o è necessitato o vuol fare “un favore all’amico”, andrà a votare senza convincimento. Non ci stupiremmo se come a Roma (con la quale Catania ha similitudini architettoniche non secondarie) voterà la metà degli aventi diritto.
Del resto la città è ben diversa da quella di un tempo: se negli anni Settanta, periodo di prosperità economica, contava 500 mila abitanti, oggi non ne annovera che cataniapoco meno di 300 mila: il commercio cittadino è in ginocchio, basti osservare i negozi del centro distrutti dalla crisi, più della metà chiusi o in via di fallimento -anni fa le vie Etnea, Manzoni, Vittorio Emanuele e Garibaldi, Umberto, erano l’orgoglio delle attività piccolo\imprenditoriali catanesi: ora languono nella morta gora…- a causa dei mutati gusti della popolazione, infatti anch’essa geneticamente modificata, la quale sceglie i centri commerciali del circondario più che i negozi della città. E’ la forte immigrazione dai paesi e cittadine della provincia che specie negli ultimi trent’anni, ha smontato la struttura sociale di Catania, nel suo centro storico come nelle periferie-dormitorio sulle quali è solo sufficiente accennare al loro immane degrado, riguardo cui tutti cianciano ma nessuno, tranne privati munifici (vedi le autentiche iniziative di un uomo libero come Antonio Presti per i librinesi) si attiva.
La sicurezza a Catania è un fatto aleatorio: vero è che, scrive chi principalmente cammina con la macchina di San Francesco (a piedi per gli indotti), è relativamente sicura, ma forse il nostro è un caso. Lo spaccio di sostanze stupefacenti è sotto gli occhi di catania 1tutti nelle vie adiacenti piazza Stesicoro, specie nel fine settimana (via Penninello in particolare), anche se le lodevoli operazioni recenti della Procura etnea contrastano con vigore i clan malavitosi che operano questo turpe commercio; la prostituzione da strada nelle zone della Stazione e della circonvallazione dilaga, le forze del’ordine sono poche, carenti di mezzi e a volte anche demotivate dalla situazione economica. I lavavetri, nonostante una ordinanza sindacale, aumentano e divengono anche pericolosi per le donne automobiliste con cui sono particolarmente aggressivi, così i posteggiatori abusivi. Chi si azzarda a difendersi da sé, perché poche alternative esistono, rischia e pure tanto. (a sinistra e sotto, a destra, due immagini di Catania tratte da wikipedia)
L’economia si regge sostanzialmente sul mercato “nero”, che era già stato denunziato in una delle visite, da un ricoverato all’ospedale Vittorio Emanuele durante l’ultima guerra, all’allora Principe Umberto di Savoja: “Principe, qui c’è intrallazzo!”, e lui: “intrallazzo?? Cosa è?”, ma lo capì subito, notando sbiancare le facce dei tronfi ufficiali del suo seguito, alcuni dei quali magari non erano ignari della situazione. Oggi è peggio.
C’è un ceto impiegatizio e di pensionati che sta reggendo per miracolo la crisi economica, a Catania più evidente che in altre città: sobbarcandosi le spese di parenti disagiati e senza lavoro e aumenti di balzelli varii. In silenzio e dignità, stringendo i denti perchè così vuole una certa educazione. C’è una classe di arricchiti del passato che si inabissa, perchè teme l’onda, ma sostanzialmente nella sua minorità, dei problemi generali, se ne frega perchè lo può fare.
I commercianti, i bancarellari della cosiddetta “fiera” di piazza Carlo Alberto come quelli della “pescheria” dietro il Duomo, non rilasciano scontrino fiscale, almeno la maggior parte; per non dire degli abusivi. Il Comune nella riunione di Consiglio del 4 febbraio, catania 2per non dichiarare il dissesto, ha raddoppiato la TARSU annuale, che deve comunque essere pagata da tutti, anche da chi ha reddito zero (pare che a Palermo invece vi siano delle fasce di reddito ove si paghi meno), e se si obietta questo, l’ufficio tributi risponde: “si venda la casa!”. Di questi fatti incontrovertibili non si sente traccia nella campagna elettorale.
Ma c’è, una campagna elettorale? Non pare, girando per la città. Ci sono riunioni di amici, al chiuso, “ammùccia ammùccia”, mentre ufficialmente sono aperte a tutti: questo vale per ogni schieramento o lista, a prescindere dal fatto che sia nuovo o di vecchio conio (ma i vecchi simboli non ci sono quasi più). I candidati a Sindaco, dai più quotati agli altri, rilasciano interviste, ma vaghe e generiche, come sempre. Non stanno comprendendo che il tempo delle fiabe è finito, perchè “finenu i pìcciuli” e nessuno si illude più. Si rivolgono a chi ha ancora qualcosa in tasca e crede che il ‘liotro’ voli con a cavallo il mago Eliodoro. In questi giorni pre elettorali magari qualcuno ci casca.
Ci sono manifesti con facce in gran parte nuove. Si sono ridimensionati i consigli di quartiere. Qualche sacrestia vecchio stile cerca ancora il voto del parrocchiano. Altri offrono il pranzetto sulla riva del mare. E’ tutto cambiato in peggio, sociologicamente. Soprattutto per l’elezione diretta del Sindaco. Alla quale si credeva, fino al 2005 almeno: poi per le note vicende, è scemato non solo l’entusiasmo, ma soprattutto è svanita la fiducia che questo o quello possa davvero incidere positivamente sul tessuto sociale, della sicurezza e del rilancio occupazionale ed economico della città.
Una città, Catania, che se fu “tutrix Regum” durante il periodo catalano-aragonese (XIV sec.) in cui ospitò i Re di Sicilia al castello Ursino (nella foto sotto, a sinistra, tratta da manganellipalace.it), ha non a caso 2700 anni di storia indimenticabili. Non è neppure bello definirla, come certuni scrivono, la “Milano del Sud”, castello ursino cataniadefinizione usurocratica degli arricchiti: meglio ci pare la dizione, che ritroviamo in una guida turistica stampata da Giannotta nel 1894, di “seconda Madera” (erano i tempi del romanzo di Mantegazza, “Un giorno a Madeira”), per le qualità climatiche invidiabili, che donano la mitezza delle temperature per la maggior parte dei mesi dell’anno.
Ma già, Catania allora era la patria della Letteratura italiana, come in una conferenza nostra, mesi fa, ha giustamente ricordato l’amico poeta e linguista Salvatore Camilleri: Verga, De Roberto, Capuana, Rapisardi, erano ai vertici nazionali per importanza (gli ultimi due furono pure Presidi della Facoltà di Lettere: e di costoro, sia detto ai tanti giovani che credono ancora al cosiddetto “pezzo di carta”, nessuno ebbe la laurea…). Poi divenne la città di Brancati (che catanese non fu, ma interpretò bene il sentimento), e del catanesissimo Ercole Patti, come prima era stata dello zio Giuseppe Villaroel. “La città con le sue lastre di lava scure, le sue edicole tappezzate di giornali, i suoi cinematografi, le sue pasticcerie affollate, i suoi monumentali orinatoi sfarzosamente illuminati, aveva un’aria alacre e allegramente funebre” (Giovannino). Così Patti descrive Catania in un suo celebre romanzo, nel 1921. Al centro c’era il bar di Tricomi e allo Spirito Santo il biciclettajo Garozzo, come in via Vittorio Emanuele l’altro costruttore di bici, Giovanni Napoleone. La farmacia di riferimento era Spadaro Ventura, gli arancini si mangiavano da Giardini, i fratelli Prinzi erano grandi imprenditori e armatori e Amato Aloisio produceva borse, armi e posate di alpacca. Che ne sanno di tutto questo i nostri politicanti, per lo più “importati”, anche legittimamente, ma importati?
La gente, giovane e meno giovane, ha letteralmente “fame” di lavoro: ma lavoro la politica non ne può dare più. Tutti i candidati dicono: “non ti posso dire che lo farò, sai… ti direi una bugia…” e via discorrendo. E’ vero, i tempi sono decadenti. Ma chi si candida a guidare una comunità numerosa potrebbe se lo vuole, invertire la tendenza. Quanta gente lavorava, senza tante storie (storie significa: presenta il curriculum, che esperienze specifiche hai… salvo poi constatare che son tutte scuse…), durante le sindacature di La Ferlita e Papale, negli anni Sessanta? Oggi quella stessa gente deve pensare ad aiutare figli e nipoti perchè sono o precari, o disoccupati.
I turisti vengono qui per le nostre bellezze artistiche, ma vanno via dopo un giorno o due al massimo, perchè nonostante il fiorire di bed and breakfast, manca -se non c’è l’amico locale che ti guida- un indirizzo unitario: si lascia tutto a casaccio, con le conseguenze che possono derivare. Il Comune chiede ai privati, è un bando recente, di stampare una guida breve della città: loro descriveranno i luoghi… loro chi? Non c’è dietro, come un tempo fu, Villaroel o Saverio Fiducia….. per cui si lascia abborracciàre nella superficialità….
Questa Catania, già nobile e bella, ricorda la principessa Cerami, già dama di corte della Regina Elena: ci si racconta che via dei crociferi cataniasino ai primi anni Cinquanta usciva dalla sua villa in via Crociferi imbellettata e bionda, come solo le donne dell’alta nobiltà potevano allora. Morta lei, il luogo fu mutato in Facoltà di Giurisprudenza, e tutto cambiò. All’ingresso di quella villa c’è una fontana con una scritta-calembour, che il nostro amico ora innanzi all’Essere Supremo, Santi Correnti, ci illustrava con la sua contagiosa passione di storico. La costruirono i principi Rosso di Cerami nel settecento per tutti, ricordando però che non era fatta da tutti, ma da loro (“publico, non a publico, hic publicus”). Da ragazzi la vedevamo pulita, fino agli anni Ottanta. Ora è sporca, ricettacolo di bottiglie e pure imbrattata di spray. Questa è la Catania che va al voto. (a destra, via dei Crociferi: foto tratta da flickr.com)

martedì 28 maggio 2013

Reddito minimo in Sicilia: sia dato a tutti gli aventi diritto, 756 milioni di Euro e non 50…..


Pubblichiamo il seguente articolo, apparso sul prestigioso quotidiano online LinkSicilia il 24 maggio 2013:

Reddito minimo in Sicilia: sia dato a tutti gli aventi diritto, 756 milioni di Euro e non 50…..


 Nella Sicilia che muore, tutti siamo coesi nel dolore della famiglia Guarascio di Vittoria, il cui capofamiglia, l’operaio Giovanni, si è dato fuoco nei reddito minimogiorni scorsi ed è deceduto, per la disperazione di non aver potuto riscattare la propria casa, venduta all’asta perchè egli non aveva potuto onorare, ad un istituto di credito (una banca siciliana…!!!) il debito contratto di 10 mila euro; nella Sicilia della dignità, laddove recentissimamente il Servizio Statistico regionale pubblica che l’isola è la più povera fra le regioni dello stato italiano, il 27,3 % delle famiglie sono in povertà e 180 mila, ovvero il 32,2 % dei residenti, sono in povertà assoluta, ossia sotto la soglia dei 6 mila euro annui, accade che un ddl del gruppo parlamentare siciliano del Megafono, tra i cui firmatari come deputato regionale c’è il Presidente Crocetta, preveda l’assegnazione di un reddito minimo garantito, ai nuclei conviventi in stato di difficoltà. Aggiungendo la non discriminanza fra coppie di fatto, legalmente maritate e dello stesso sesso, aspetto quest’ultimo innovativo nella legislazione regionale sicula, nonchè di indiscussa modernità. Il gruppo del Movimento Cinque Stelle, che per primo ebbe l’idea, sostiene l’iniziativa.
Azione positiva in un frangente drammatico? Non proprio. Perchè se a casa nostra, come in tutte le case di gente dabbene, si fanno i conti prima di avviarsi al mercato per la spesa, questi non tornano per nulla. E per l’ennesima volta si turlupinano i siciliani, specie i più bisognosi. Dalla classe politica, vieppiù da coloro i quali sbandierano i termini “rivoluzione” e “lotta alla povertà”, ciò è inaccettabile. Vediamo nei dati.
La notizia del ddl antipovertà è che nel primo anno di finanziamento, se verrà approvato dal Parlamento siciliano, il reddito minimo per nuclei di convivenza (non necessariamente familiari: la definizione è affatto controversa…), sia di circa 400 euro. Già si nota una chiara anomalìa, come evidenziato da codesta testata: i singoli, spesso anziani e indigenti, cosiddette famiglie mononucleari secondo le anagrafi dei comuni, non hanno diritto al contributo? Perchè? Non si creerebbe una disparità illegale, che ricorda per certi versi la sciocca tassa sul celibato del periodo dittatoriale?
Le recenti informazioni del Servizio Statistico della Regione Siciliana, così come riportato dai quotidiani, affermano che “stimando per la Sicilia una platea di 180.000 nuclei familiari in povertà assoluta, ottenuta applicando all’Isola l’incidenza di tale fenomeno sulle famiglie del Mezzogiorno (8%), si può prevedere un fabbisogno di 756 milioni di euro all’anno, nella ipotesi di applicazione del reddito minimo adottato dalla Campania (350 euro mensili). “Si tratta di risorse reperibili – si legge nello studio della Regione – solo a condizione di una revisione generale delle attuali forme di assistenza”.
Questa è la cifra che serve, senza alcuna discriminazione: almeno 756 milioni di Euro. I quali ricordano lo “scippo” degli 800 milioni di Euro attuato dal governo nazionale ai danni della Sicilia, a causa del cosiddetto ‘fiscal compact’. Facciamo finta che ciò non sia, per ora. Un tempo i bambini giuocavano con le ombre, e qui ve ne sono massimamente che luci. Perchè il tanto sbandierato ddl Crocetta-Megafono a contrasto della povertà, mette a disposizione solo la modica cifra di 50 milioni di Euro: per il primo anno, affermano i promotori. Aggiungendo che le assegnazioni verranno fatte dai comuni dell’isola, in base a criterii per noi discutibili (il lettore sa immaginare…), e verrà stilata una graduatoria.
La sproporzione, dato che la medesima Regione da parte del Servizio Statistico ci comunica la cifra occorrente per una equa distribuzione di un eventuale reddito minimo come in altre regioni, è troppo manifesta e diseguale, per non indignarsi. Vieppiù davanti a casi come quelli dell’onesto muratore Guarascio di Vittoria, che se avesse prima avuto un sostegno sociale da chicchessìa (le figlie, ragazze belle come la terra di Sicilia sa dare e rispecchianti limpidezza, in una trasmissione televisiva condotta da Del Debbio, han detto senza mezzi termini che bussarono alle porte dei politici e anche della Chiesa, ma nessuno li ha ascoltati…. fino alla tragedia…), oggi sarebbe molto probabilmente ancora in vita. In quel caso le leggi rispettabili ma assurde e sovente inumane, hanno permesso alla banca, per un debito di poca entità ma per lui inarrivabile, di privarlo del bene per eccellenza, la casa: ma non si può consentire, in giorni di tragedie, di scherzare con la pelle del popolo siciliano.
Il quale, ci insegna la Storia, quando è alle strette, si ribella energicamente, come succede da tempi antichi. anche prima del Vespro: bastò all’Emiro Giafàr dei Kalbiti, quando per la prima volta la Sicilia divenne uno Stato indipendente (anche se formalmente soggetta ai Fatimidi di Egitto, dal X secolo l’isola era già autonoma: la sanzione statuale verrà coi Normanni, che trovarono una amministrazione efficiente) sulla soglia dell’anno 1000, mettere una tassa sui grani e sulle frutta, per scatenare la ribellione che in pochi decenni abbatterà il governo mussulmano e aprirà le porte ai guerrieri catafratti del Nord. Ma di tutte queste istorie, purtroppo, i nostri governanti di jeri e di oggi poco sanno. povertà
Il sottoscritto, non solo in qualità di uomo libero ma anche nella veste di Coordinatore e responsabile dell’ufficio Cultura e Storia Patria del Movimento per l’Indipendenza della Sicilia (il più antico raggruppamento che propugna gli interessi dell’Isola, particolarmente vicino agli ultimi del popolo siciliano), si indigna fortemente e eleva chiara la protesta verso la sproporzione inaccettabile che emerge fra il fabbisogno dei nuclei familiari in povertà assoluta esistenti in Sicilia, come documentato dal succitato studio, e la proposta di ddl del Megafono e del Presidente Crocetta: se egli vuole davvero manifestare concreta vicinanza ai più bisognosi, senza discriminazioni come è giusto, aiuti tutti senza demandare ai comuni: la Regione procuri i 756 milioni di Euro che servono, stornandoli da altre fonti (e si sa quali…) e li distribuisca direttamente ai meno abbienti, se vuole redigendo una lista, ma senza parzialità, nè il minimo rischio di favoritismi. Tertium non datur, come dicevamo al Liceo.
Per evitare bagni di sangue in ogni caso cruenti (nessuno dimentichi i fatti di Bronte…); con versi fulgidi così scriveva Mario Rapisardi (1844-1912), Vate dell’italica poesia e fervidamente siciliano (da “Il canto dei mietitori”): “I nostri figlioletti non han pane, \ e chi sa? forse moriran domane, \ invidiando il pranzo al vostro cane… \ E noi falciam le messi a lor signori. \\ Che volete? Noi siam povera plebe, \ noi siamo nati a viver come zebe, \ ed a morir per ingrassar le glebe. \ Falciam, falciam le messi a quei signori. \ O benigni signori, o pingui eroi, \ vengano un po’ dove falciamo noi: \ balleremo il trescon, la ridda, e poi… \ poi falcerem le teste a lor signori”.

                                                                         Francesco Giordano

giovedì 25 aprile 2013

Altri suicidi per l'indipendenza del Tibet dall'occupazione cinese: similitudini storiche con la Sicilia...








Altri suicidi per l'indipendenza del Tibet dall'occupazione cinese: similitudini storiche con la Sicilia....

"Libertà va cercando, ch'è sì cara \ come sa chi per lei vita rifiuta", affermava Catone nel I libro del Purgatorio della Commedia dantesca: non v'ha visione più limpida della libertà politica individuale e collettiva, dell'episodio in cui il simbolo della incorruttibilità si uccide per non cadere nelle mani del tiranno. E la strage, nel XXI secolo dell'era cristica, continua. Altri tre monaci tibetani si sono suicidati per protestare in modo cruento ma pacifico, autoimmolandosi, contro l'occupazione del Tibet da parte della Repubblica Popolare Cinese, ininterrotta dal 1950. Salgono a 118 così i suicidi per la libertà del Tibet , dal 2009, mentre oltre due milioni di tibetani da un sessantennio sono morti per il ritorno alla autodeterminazione. Così il quotidiano Repubblica del 25 aprile 2013: " Tre tibetani sono morti dopo essersi dati fuoco per protesta contro Pechino nella regione cinese del Sichuan, nella prefettura di Abe dove il governo centrale ha imposto una massiccia presenza militare. Lo riporta il gruppo Free Tibet. Due delle vittime erano monaci buddhisti, identificati come Lobsang Dawa di 20 anni e Konchog Woeser di 23: si sono immolati nel monastero di Taktsang Lhamo Kirti. La terza era invece una donna 23enne, le cui generalità non sono state rese note. Tutti e tre si sono tolti la vita per protestare contro l'annessione della madrepatria da parte della Repubblica Popolare, e reclamare il ritorno del Dalai Lama. Le autorità cinesi, che ufficialmente hanno negato di essere a conoscenza dell'accaduto, hanno disposto l'immediata cremazione delle salme per impedire manifestazioni di massa in occasione dei funerali....la maggior parte sono morti a causa delle gravissime ustioni riportate. La Cina afferma di aver 'liberato pacificamente' il Tibet e di aver migliorato le sorti del suo popolo...molti tibetani non sopportano quella che considerano una dominazione da parte di Hans, l'etnia prevalente in Cina, e la repressione della loro religione e della loro cultura".

Sin dal 1959 il governo Tibetano è in esilio a Dharamsala in India, dove risiede con Sua Santità il Dalai Lama Tensin Gyatso, Premio Nobel per la Pace nel 1989 e figura conosciuta in tutto il mondo per il suo impegno non violento (è anche Barone del Principato indipendente di Sealand). E' assurdo nonchè vergognoso che ancora una potenza come la Cina, nonostante la mobilitazione dell'opinione pubblica internazionale (molti attori, tra cui Richard Gere, sono paladini della causa) e i riconoscimenti dell'ONU che ha più volte protestato per l'occupazione, continui il genocidio del pacifico popolo tibetano, per meri motivi di sfruttamento economico (si sa che il sottosuolo è ricco di materie prime).

La superfice del Tibet è grande, detta anche "il tetto del mondo": ma la popolazione è poco superiore, 6 milioni e mezzo, a quella della Sicilia (5,5 milioni). Pure, circa 7 milioni di cinesi hanno negli ultimi 50 anni occupato il Tibet e continueranno a colonizzarlo, specie dopo la recente apertura della ferrovia Pechino-Lhasa, ai soli fini di estinzione della orgogliosa e antichissima razza tibetana. Chi ha letto il romanzo di Heinrich Harrier "Sette anni in Tibet" ed ha visto il film, conosce anche se de relato, il dramma di codesto grande e dignitoso popolo.

Tibetani i quali, lo rammentiamo per i cultori dell'esoterismo, detengono i segreti dell'immortalità e dell'Infinito ben più forse di altre tradizioni religiose: non è un caso che la sezione Ahnenerbe delle SS tedesche fu inviata negli anni trenta in Tibet, laddove vige tra i simboli fondamentali del buddismo, lo swastika quale segno di eternità solare (il nazionalsocialismo ne invertì il corso, fatalmente come sappiamo), intrecciato ivi con la stella salomonica a sei punte (magia verde). Il dolore più immenso è il tentativo da parte dei cinesi di cancellare culturalmente, religiosamente e documentalmente, l'identità medesima dei tibetani: un comportamento il quale, sebbene non cruento come quello vissuto dalla popolazione asiatica, è ben presente ai siciliani non inquinati da continentalismo...

E' infatti una battaglia per certi versi comune con il popolo siciliano: ravvisiamo diversi punti di collegamento fra le due stirpi. Entrambi vantano oltre duemila anni di civiltà, entrambi furono occupati e mai cancellati sia storicamente e culturalmente, entrambi soggiacciono ad influenze straniere. Noi fondammo il più antico Parlamento del mondo, ben prima di quello inglese (1130 le Curiae Generales di Palermo, 1264 quello di Londra...), insegnando l'arte politica all'Occidente; il Tibet custodisce la religiosità più arcana della Terra. Peggio di noi, il Tibet è stato militarmente e con la violenza occupato nel 1950 dopo la nascita della Repubblica Popolare; mentre la Sicilia, dopo la guerra separatista del 1943-46 combattuta dai giovani dell'EVIS e sostenuta ufficiosamente dal Movimento per l'Indipendenza della Sicilia, ottenne dalla traballante monarchia sabauda lo Statuto autonomista, figlio diretto delle Costituzioni del 1812 e 1848, nonchè vide tra i deputati dell'Assemblea Costituente che elaborò la Costituzione italiana, il fondatore del MIS On.Andrea Finocchiaro Aprile e altri rappresentanti del partito indipendentista siciliano. Noi scegliemmo di vivere in uno stato federale, attraverso lo Statuto siciliano parte integrante della Costituzione d'Italia sin dal 1948; il popolo del Tibet governato da Sua Santità il Dalai Lama, è stato vilmente occupato dall'esercito comunista della Cina e mai più liberato. Noi siciliani non invochiamo il ricorso al separatismo poichè l'applicazione dello Statuto nella sua interezza, e non parzialità, è il passo primario per la finale autodeterminazione del popolo di Sicilia; i tibetani devono uccidersi per dimostrare al mondo che desiderano tornare un popolo libero.

Significativa, come ogni azione simbolica, è la bandiera tibetana che qui si riproduce: il governo di Pechino la vieta perchè espressione "separatista", noi per fortuna abbiamo insite nella storia siciliana la bandiera giallo-rossa con la triscele, facente parte dello stemma regionale: e persino la bandiera di combattimento dell'EVIS è fregiata con i colori della Nazione Siciliana, prettamente normanno-aragonesi....e non già statunitensi (seppure ci fu negli anni d'oro chi ambiva alla federazione con gli USA).

La loro lotta merita rispetto e solidarietà. La libertà per cui si giurò in sacre sale, è la libertà scelta autonomamente dai popoli, contro ogni forma di tirannìa. "Bello è affrontar la morte, gridando libertà", così la cabaletta dei Puritani di Vincenzo Bellini. Dalla Sicilia al Tibet, è un inno alla sacralità del sommo arbitrio, nel particulare come nel politico, ovvero la scelta fra oppressione e autodeterminazione. Il Tibet lotta per tornare libero, e tutti i popoli e le persone che scelgono di "morire con la fronte rivolta al sole " (Josè Martì), sono al fianco dei martiri tibetani, del Dalai Lama e del ritorno del Tibet all'indipendenza.

F.Gio
 

martedì 2 aprile 2013

Con Francesco, e Benedetto, la Chiesa cattolica non sarà più la stessa






Con Francesco, e Benedetto, la Chiesa cattolica non sarà più la stessa

Abbiamo voluto attendere il compiersi dei riti della Settimana Santa, per commentare una Quaresima, codesta del 2013, che non si potrà più dimenticare, sia da parte dei cristiano-cattolici del mondo che dai popoli di ogni razza e religione e senza una fede: se è vero che la storia della Chiesa annovera rinunce al soglio pontificio, poche ma avvenute secondo regole consolidate (tra le ultime è la lettera di Bonifacio VIII che definisce le modalità delle dimissioni del predecessore, San Celestino V), nessuna era mai stata così universale come quella di Benedetto XVI. Egli non ha solo lasciato la "vigna del Signore", di cui si era immediatamente dopo l'elezione definito "l'umile operaio", ma ha anche precisato che sarà "Papa emerito", si chiama Benedetto XVI e non ridiventerà il Cardinale Ratzinger (mentre tutti in assoluto gli ex Papi dei secoli passati erano tornati a svolgere le funzioni da cardinali o da monaci), rimane dentro lo Stato del Vaticano (nessuno dei precedenti Papi era invece rimasto a Roma dentro gli stati della Chiesa) e come un qualunque professore universitario d'alto rango, del resto egli è stato docente all'Università di Colonia, assume il titolo di "emerito" e le funzioni connesse. Si fa anche chiamare "Sua Santità". "Emerito di molto merito", secondo il verso di quel toscanaccio del XIX che fu Giuseppe Giusti.

Per quel che concerne il nuovo Vescovo di Roma, che i giornali chiamano Papa, ma egli ha evidente irritazione per tale ruolo (la sera della elezione in diretta tv ha fatto comprendere che egli è tale, un Vescovo di una chiesa romana "che presiede alle altre", non più il Pontefice, come ancora l'ufficialità lo designa...e salutare a suo modo invece che col cristiano "sia lodato Gesù" è altro fatto emblematico...) essendo notoriamente avverso sia al curialesimo che alla liturgia tradizionale ed ai simboli connessi, eletto il 13 marzo col nome (unico anch'esso, e ci sarà una ragione per cui in quasi otto secoli nessun Pontefice lo ha mai scelto...) di Francesco, senza voler giudicare un uomo dai suoi atti precedenti, ma dai quali è evidente un signore di 76 anni è come logica vuole, potentemente influenzato, egli ha fatto comprendere subito il suo stile. La massa lo loda e lo apprezza, ma è un frangente di assoluta acriticità per cui in tempi passati, vedere due Papi accanto l'uno all'altro sarebbe stato uno scandalo per la gente, ignorante sì ma ben ferrata nell'Evangelo: oggi la più gran parte ha studiato, è stata in Università, ma è mònca della dottrina mistica e soprattutto esoterica del Cristianesimo cattolico, per cui anche "i due papi" sono occasione di spettacolo. Scena, come il video appositamente girato in occasione dell'incontro "storico", il 23 u.s.

Nel nostro intervento sul Papa nascosto al mondo, auspicammo l'avvento della vera povertà francescana nella Chiesa: non di un gattopardismo gesuitico. Si vedrà se il Vescovo di Roma Francesco vorrà davvero attuare il programma implicito di paupertas che inevitabilmente si lega al nome del poverello di cui, egli sacerdote della Compagnia di Gesù (sciolta nel 1773 dal Pontefice Massimo Clemente XIV, dell'Ordine Francescano...quel Papa non era scevro da considerazioni iniziatiche profonde...) ha ardito assumere il nome e rompere il tabù vigente, con i fatti. "Dai frutti li riconoscerete", ha affermato Gesù: i frutti dovrebbero essere la cancellazione ipso facto (il Vescovo di Roma che è anche capo dello Stato del Vaticano lo può fare con un semplice motu proprio, come nel 2007 Benedetto XVI dato che i Vescovi erano contrari, con tale documento ordinò senza preventiva autorizzazione, la celebrazione della Messa secondo il vetus ordo, ossia in latino) dello IOR, ovvero della Banca vaticana, entro le cui mura tutti sanno, e la Magistratura italiana più volte lo ha verificato, si svolgono sporchi traffici e riciclo di denaro illecito che nulla ha a che vedere con la sacralità del messaggio cristico. I frutti dovrebbero essere, e sarà qui la prova de facto del nuovo inquilino dei palazzi apostolici romani, non le prediche (di cui con tutto il rispetto, abbiamo stufe le orecchie...) contro la "sporcizia del peccato", ma gettare in pasto ai porci quelle bestie dei preti pedofili e violentatori, cacciarli dalla comunione della Chiesa, denunziarli alle autorità laiche prima ancora che lo facciano le traumatizzate vittime, mai più coprire codesti malati e invertiti; i frutti dovrebbero essere dichiarare (quantomeno, vista la dottrina della Chiesa in materia... oppure ammettere la realtà...) un errore l'autorizzazione data dal Segretario di Stato di Benedetto il Cardinal Bertone, di aprire al piano terra del palazzo di Propaganda Fide a Roma la più grande sauna gay d'Europa, come è emerso nei giorni della sede vacante, anche se la notizia è passata sotto silenzio. Chi si vuole che creda a chi predica bene e razzola così male? Si scelga l'Umiltà vera e non quella ostentata davanti alle videocamere di TV e internet, per pura scenografia. Se poi le masse che si accontentano di segni esteriori, i quali hanno sì un significato, ma invertito, credono sia sufficiente non abitare più negli appartamenti papali in Vaticano, come ha deciso Bergoglio, o rinunziare a stola e anello d'oro, questo potrà bastare ai farisei, non a chi crede sul serio. Del resto bisogna riconoscere al Vescovo di Roma venuto dall'Argentina che almeno è coerente: perchè dovrebbe assumere luoghi e funzioni papali, se egli si sente ancora e solo un Vescovo? Ma si dirà, il Papa è "l'altro".... il fatto è che "l'altro" si è dimesso però rimane lì, "emerito" ma presente.... Quis ut Deus? Quo vadis, Domine?

Le profezie di Fatima, manipolate ad arte dalle autorità ecclesiastiche e variamente trasmesse (si dice pure che colei che conoscemmo come Suor Lucia non sia stata la vera veggente ma una falsa monaca, poichè la vera sparì in un convento e nulla se ne seppe: una sostituzione di persona che se parrebbe assurda, non meraviglia, qualora raffrontata con lo scambio del XVIII secolo tra il falso Giuseppe Balsamo, impostore grossolano, e l'iniziato Alessandro Conte di Cagliostro, che vide la luce della mistica cavalleresco-massonica dal cappuccino-alchimista Altothas...), come quelle di La Salette e della monaca agostiniana Emmerich, affermano senza tentennamenti che l'eresia salirà ai vertici sommi della Chiesa, e il Drago provocherà scismi e sofferenze nei veri credenti. Sembrano avverarsi anche le famosissime predizioni di Malachia: dopo "Petrus romanus", che secondo alcuni fu il cardinal Bertone (Pietro Tarcisio, nato a Romano Canavese), "la chiesa sarà distrutta": e lo stravolgimento liturgico e dottrinario del nuovo Vescovo di Roma lascia esattamente vedere questo (anche se è vero che dopo il Concilio Vaticano II il Papa è un "primus inter pares", l'assise del 1965 non fu dogmatica, e sono stati i pontefici a spogliarsi dell'autorità, volontariamente). Si aggiunga che Bergoglio è stato eletto il 13 di un 2013, la ripetizione di tale numero è significativa, poichè nei tarocchi il 13 è, chi li ha studiati lo sa, l'unica carta senza nome: la Morte. Infine lo stemma: scelto sulla base di quello cardinalizio e cambiato dopo nove giorni, dal 18 al 27 marzo, perchè qualcuno in Vaticano ha fatto notare che il pentalfa non era esattamente mariano, sostituito da una stella a otto punte, e il nardo simile a uva o pigna rimaneggiato, rimane il simbolo gesuitico, più grande araldicamente degli altri, quindi filologicamente scorretto (ma ciò è evidentemente una sciatteria; come il regalo dell'icona della Madonna dell'Umiltà, a lui donato dal Vice Patriarca ortodosso di Mosca il 20 marzo e il 23 regalato al papa emerito. E nessuno dei due, si legge nel dialogo, dice di conoscere la Madonna dell'Umiltà, che crediamo invece sia nota anche a cristiani analfabeti... se in alto ci si comporta così, in basso non ci si meravigli...). Neppure ai tempi di Alessandro VI Borgia, la cui moralità era certamente discutibile, si misero in ombra le consuetudini e il ruolo papale: come ci ricorda quel laico che fu il grande contemporaneo Machiavelli: "Quei principi o quelle repubbliche le quali si vogliono mantenere incorrotte, hanno sopra a ogni altra cosa a mantenere incorrotte le cerimonie della religione, e tenerle sempre nella loro venerazione. Perchè nessuno maggior indizio si puote avere della rovina d'una provincia, che vedere dispregiato il culto divino" (Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, cap.XI lib.I). E consigliava, per il bene dell'Italia che egli voleva unita, di trasferire il papato in Svizzera, poichè fonte di divisioni e di macchinazioni infinite.  Del papato come istituzione non personale e del suo disgregamento se ne comincia a parlare, per ora sottotraccia (abbiamo notato alcuni articoli editi su quotidiani e riviste, di teologi e studiosi), ma in seguito a ciò che succederà, sarà oggetto di ampie analisi. E' la fine del ciclo, dell'Alfa che si fonde nell'Omega? Certamente la Chiesa Cattolica di Francesco, e del vivente Benedetto, dei due Papi, non sarà più la stessa. Qualcuno ha pensato al disorientamento instillato, con queste immagini e con tale comportamento che potrebbe pure dirsi blasfemo, nelle menti e nei cuori dei veri pauperes, del popolo di Dio, dei cattolici senza nozioni che si chiedono come e perchè tutto ciò sia possibile?

E le conseguenze di questi atti, sono state valutate? Se è così, quale scopo nel bene e nel male si vuol raggiungere? Sono le conseguenze, come si afferma negli ambienti dei tradizionalisti e dei sedevacantisti (neppure loro avrebbero pensato a tali sviluppi oltre il velame...) del Concilio Vaticano II, dell'appiattimento e della collegialità dei Vescovi e della democraticità anarchica? "Non praevalebunt", ci si consola in alcuni ambienti. Sì, il Cristianesimo vivrà senza dubbio. Anche senza il papato unico. Anche se la figura del papato fosse abolita, come di fatto sta già accadendo. E medesimamente ci sarebbero i cristiani.

Ma sarà tutta un'altra musica: non Mozart, non Palestrina, non Vivaldi. Altri toni, altri autori.

Non è detto che ciò sia un male assoluto, per certi aspetti: anzi. Le gerarchie vaticane hanno sbagliato in passato a non tener conto dei cambiamenti della società e dovranno necesse est, adeguarsi o modulare le proprie dottrine ai tempi, se non vogliono passare, come passò il Papa emerito, per retrogradi. Necessitano aggiornamenti per i divorziati, per le coppie di fatto eterosessuali, tanto per citare delle situazioni delicate. E' giusto e si può comprendere. Il resto, no.

"Perciò vi dico: non vi preoccupate per la vita di quel che mangerete, nè per il corpo di che vestirete, perchè la vita vale più del nutrimento e il corpo più del vestito...dove infatti è il tesoro, ivi è anche il vostro cuore" (Lc.22-34). Questo è il pensiero dei pusilli, e infatti non ci preoccupiamo. Se una tradizione nata in Galilea e Giudea circa duemila anni fa, divenuta istituzione dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente e potenza mondiale nel medioevo, si secolarizza e muore nel XXI secolo, non scomparirà certamente il messaggio dell'Unto di Galilea. Ben altre religioni, si pensi a quella dell'Egitto faraonico come a quella di Sumer, scomparvero dopo millenni. Però l'esoterismo di quelle Vie permane, dopo seimila anni. Rà, Isis e Osiris, Marduk non sono certo dimenticati. Rimarrà anche, lo insegnò quello scrittore finissimo che fu Joseph De Maistre, l'esoterismo cristiano e cattolico.

Le generazioni successive avranno un'altra Chiesa. Altri rimarranno liberi pensatori, esoteristi, cristiani e cattolici ancìent regime, anche se il Vaticano snatura e lento, inesorabile, scioglie nella melassa del tempo, la figura regale e cristica del Papato. Del resto, Pontifex Maximus era titolo, mistico anch'esso, dell'Imperatore di Roma. L'Impero è finito -e anche il latino-: non per tutti. V'ha chi sta con Boezio invece che con Odoacre. Unicuique suum.

F.Gio




Così benedice il Vescovo di Roma Bergoglio-Francesco nel XXI secolo....


Così benediceva il Pontefice Pio XII Eugenio Pacelli nel XX secolo, come ha fatto il Papa per duemila anni....sino ad oggi...

martedì 19 febbraio 2013

Nascosto al mondo. Sulla rinuncia di Papa Benedetto XVI






 
Nascosto al mondo. Sulla rinuncia di Papa Benedetto XVI

E' un frangente il quale, una volta tanto, non si esita, senza fasti od errori, a definire compiutamente storico, straordinario: noi preferiamo appellarlo rivoluzionario, con tutte le implicazioni che il termine comporta: la rinuncia (non le dimissioni, termine aduso alle cronache dei giornali ma tecnicamente inesatto) del Santo Padre Benedetto XVI al soglio pontificio, annunciata nel giorno della Madonna di Lourdes del 2013 ed operative dal 28 febbraio alle 20. Un evento epocale.

Prendiamo per buone le parole di Joseph Ratzinger, Papa della Chiesa Cattolica Apostolica Romana, quando pochi giorni fa, incontrando per l'ultima volta i sacerdoti romani, ha detto loro ed a tutti: "sarò nascosto al mondo ma vicino a voi nella preghiera". Il Papa nascosto, ed il prossimo Pontefice visibile: un evento davvero degno delle più apocalittiche profezie, vedremo se quelle di Malachia o le più occulte, della Vergine di Fatima, di Lourdes (Bernadette non disse mai quali erano, ma ci furono rivelazioni a lei, già Suora a Nevers, fino agli ultimi suoi giorni, anche se il popolo non sa: forse che i vertici del Vaticano sì invece?...). La spiegazione ufficiale è di Benedettro XVI, dettata in latino ma esattamente tradotta in lingua italiana: "
Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l'età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell'animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l'elezione del nuovo Sommo Pontefice... Ora, affidiamo la Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro Signore Gesù Cristo, e imploriamo la sua santa Madre Maria, affinché assista con la sua bontà materna i Padri Cardinali nell'eleggere il nuovo Sommo Pontefice. Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio".

Queste le parole. La lettera: non si dimentichi che un uomo di quasi 86 anni, già abbastanza provato nell'età, può avere e probabilmente ha delle esigenze di carattere fisico le quali non gli consentono una lunga 'esposizione mediatica' sotto i riflettori e nelle pubbliche udienze: vi sono, come sanno coloro che assistono gli anziani, delle inderogabili necessità di ordine fisiologico che rendono a volte penoso lo svolgersi delle funzioni, ed è nella memoria la critica di Ratzinger alla fisicità terrificante ed a brandelli dell'ultimo Giovanni Paolo II, la cui riduzione allo stato larvale ed il cui attaccamento alla poltrona negli ultimi mesi del 2005 faceva pena a tutti.

Altresì nel libro intervista di Seewald edito nel 2010, Benedetto XVI disse chiaramente che un Pontefice ha a volte "il dovere di andarsene" quando non è più in grado di svolgere il suo mandato. Lo ha sempre previsto il diritto canonico. Ancora, se molti, e comprensibilmente, han ricordato il "gran rifiuto... vidi e conobbi l'ombra di colui che.." delineato da Dante Alighieri, e a noi ex studenti di ginnasio è indimenticabile, nel canto III dell'Inferno della sua Commedia, nel girone degli ignavi (ma poi i commentatori dimenticano di rammentare che essi sono descritti dal Poeta come nudi e tormentati da vespe e mosconi, per il loro esser invisi "a Dio e a li inimici sui... coloro che mai fur vivi", spaventosa condanna...), il noto Papa Celestino V, che però Francesco Petrarca elogia per la saggezza della sua decisione, i parallelismi con Benedetto XVI sono pochissimi: è vero tuttavia che nel 2009 visitando l'Aquila dove è il corpo del Pontefice del secolo XIII, egli depose il pallio sulla bara del santo eremita, e nella tradizione dei Pontefici deporre il pallio sulle spalle di un sacerdote, in vita, equivale a designarlo successore (Paolo VI pubblicamente recandosi a Venezia, nel 1975 si levò il pallio dal suo collo e lo mise sulle spalle dell'allora Patriarca Albino Luciani, che infatti immancabilmente divenne, anche se solo per 33 giorni, Papa col nome di Giovanni Paolo I). Nel caso del gesto ratzingeriano, tale deposizione assume una lectio apocalittica, come a dire "après moi le delùge", rimembrando la celebre frase di Luigi XIV, ed i motivi sono ben noti.

Altro Pontefice che nel secolo XIV rinuncia, ovvero abdica al Papato (abdicare è altro verbo corretto, poichè il Papato è una monarchia assoluta elettiva, e quindi un capo di stato monarchico abdica oppure rinuncia, se si intende come ha fatto Benedetto solo in senso teologico spirituale) è Gregorio XII, il veneziano Correr, per virtù di ricomposizione dello scisma d'occidente: accadeva nel 1414, egli ebbe dignità cardinalizia e una diocesi da amministrare dopo la deposizione del pastorale petrino.

Oggi la situazione è ben altra e massimamente grave: non a caso, svolgendosi il penultimo giorno del laicissimo Carnevale, la rinuncia di Benedetto da alcuni agli inizi fu presa come uno scherzo: il Papa che ha rimesso in auge anche se in parte, la tradizione della Chiesa, se ne va? E' impossibile. Ma è così. Un atto di amore, a nostro sommesso parere, come meglio si comprenderà nelle settimane, nei mesi e negli anni a seguire. Non è inoltre casuale che l'ultimo incontro estero del Papa fu quello con il "Comandante" Fidel Castro, a Cuba. anche lui ritiratosi a vita privata nel 2008 accorgendosi di esser malandato in salute, anche lui a capo di uno stato rivoluzionario, anche lui fidente nella visione sociale e democratica del rinnovamento del mondo. Ci piace immaginare che i due anziani e coetanei capi si siano consultati anche su questo, anzi può pure essere stato il 'Lider maximo' a consigliare a Benedetto di farsi da parte, per rinnovare la struttura. Fantapolitica? Chi sa....

Le ultime nomine di Benedetto XVI, dal presidente dello Ior alle altre più tecniche, sono illuminanti di un cammino periglioso, senza dubbio irto di difficoltà e stanchezza interiore: il Papa che pregò tutti i cristiani di "non lasciarlo solo davanti ai lupi" non è fuggito, ma ha dovuto cedere alla forza della bramosìa del denaro, della sessualità innaturale della pedofilia nei seminari e fuori verso vittime innocenti che bestie indegnamente hanno violato con la copertura dell'abito talare il quale doveva essere loro strappato in pubblica piazza (e loro fustigati, come in tempi biblici); ha dovuto prendere atto che le sue volontà (in primis la manifestazione, col motu proprio Summorum Pontificum che rende obbligatoria la S.Messa in latino per ogni Diocesi, in parte ascoltato ma di più, aspramente osteggiato) sono neglette quando non derise e apertamente contrastate: il teologo agostiniano fine e mite, ha preso coscienza che non sono più i tempi, come nella sua giovinezza quando vestì l'abito talare, del "Bianco Padre" (così l'inno dell'Azione Cattolica, che gloriosamente lo celebrava) il quale ha "al tuo cenno, a una tua voce, un esercito all'altar": quel Papa era il principe Pacelli, Pio XII Eugenio, e davvero allora senza esitazione ad un suo abbraccio mistico al mondo, si muovevano miriadi di cristiani. Si è forse autoilluso ed ha proiettato un caleidoscopio di illusioni in tutti noi pure che desideravamo con vera fides religiosa e laica, non tornare a quei tempi, ma avere un "pastor et nauta" che mettesse ordine nella "sporcizia che c'è nella Chiesa" (come egli stesso ha detto alla vigilia dell'elezione, nel 2005, e più volte ripetuto dopo). Non è stato possibile, e si ritira con dignità e signorilità.

Lo studioso cattolico Massimo Introvigne, in un suo articolo di questi giorni, ha ricordato come Benedetto XVI proclama nel 2012 Dottore della Chiesa una santa mistica tedesca, Ildegarda di Bingen, fra l'altro nota a molti perchè autrice di formule farmacopeiche per la medicina alternativa, curarsi con le piante consigliate da Ildegarda è prassi usuale per molti. Si è riportata la seguente visione della Santa, che il Papa ha letto in pubblico nel dicembre 2010, e che egli stesso ha riferito ai peccati dei sacerdoti nella Chiesa: può essere un movente? Rileggiamo la visione medievale: "Nell’anno 1170 dopo la nascita di Cristo ero per un lungo tempo malata a letto. Allora, fisicamente e mentalmente sveglia, vidi una donna di una bellezza tale che la mente umana non è in grado di comprendere. La sua figura si ergeva dalla terra fino al cielo. Il suo volto brillava di uno splendore sublime. Il suo occhio era rivolto al cielo. Era vestita di una veste luminosa e raggiante di seta bianca e di un mantello guarnito di pietre preziose. Ai piedi calzava scarpe di onice. Ma il suo volto era cosparso di polvere, il suo vestito, dal lato destro, era strappato. Anche il mantello aveva perso la sua bellezza singolare e le sue scarpe erano insudiciate dal di sopra. Con voce alta e lamentosa, la donna gridò verso il cielo: ‘Ascolta, o cielo: il mio volto è imbrattato! Affliggiti, o terra: il mio vestito è strappato! Trema, o abisso: le mie scarpe sono insudiciate!’ E proseguì: ‘Ero nascosta nel cuore del Padre, finché il Figlio dell’uomo, concepito e partorito nella verginità, sparse il suo sangue. Con questo sangue, quale sua dote, mi ha preso come sua sposa. Le stimmate del mio sposo rimangono fresche e aperte, finché sono aperte le ferite dei peccati degli uomini. Proprio questo restare aperte delle ferite di Cristo è la colpa dei sacerdoti. Essi stracciano la mia veste poiché sono trasgressori della Legge, del Vangelo e del loro dovere sacerdotale. Tolgono lo splendore al mio mantello, perché trascurano totalmente i precetti loro imposti. Insudiciano le mie scarpe, perché non camminano sulle vie dritte, cioè su quelle dure e severe della giustizia, e anche non danno un buon esempio ai loro sudditi. Tuttavia trovo in alcuni lo splendore della verità’. E sentii una voce dal cielo che diceva: ‘Questa immagine rappresenta la Chiesa’" .

E' comunque, di là dalle colpe interne che ci sono e gravissime, il dialogo con il mondo che si sente affievolire, a volte mancare, negli ultimi anni, fra la Chiesa nel suo corpo ecclesiale, e i popoli che bussano alle porte: ma non trovano un Cardinale Dusmet (vescovo di Catania sul finire del XIX secolo, benedettino celebre per la sua povertà, detto infatti padre dei poveri: la Chiesa lo proclama Beato nel 1988) che rispondeva "fin quando avremo un panettello lo divideremo col povero"; non trovano neppure un San Francesco, ma porte chiuse, spesso arroganza e supponenza verso chi è più bisognoso. Non tutti sono così, come anche la visione di Ildegarda suggerisce: ma moltissimi sì purtroppo. Gli Ordini monastici femminili, in questo, sono per fortuna più ricettivi ed attenti. Il Conte di Cagliostro langue ancora allegoricamente nella cella del pozzetto a San Leo nel Monferrato, anche se egli si è spiritualizzato e Napoleone nell'entrare ivi non trovò il suo corpo, ma una spada....

Ciò che colpisce, del messaggio di rinuncia, nel cristiano non distratto dal colpo psicologico, è la manifestazione dell'affievolimento non solo del vigore del corpo, e transeat, ma dell'animo: sono quelle le parole. Poi l'affermazione che la sua elezione fu per mano dei Cardinali: è vero, ma.... egli stesso due giorni dopo si è corretto, ripetendo in pubblico di essere stato chiamato "per volontà del Signore" (qualcuno gli ha fatto notare che una volta si diceva fosse lo Spirito Santo a illuminare i Cardinali). Infine, la Chiesa a cui egli rimette il mandato è quella della "santa Madre Maria... madre di Cristo", ed anche un comune studioso della storia della Chiesa sa la differenza fra la Teotokòs, la Madre di Dio, e la Cristotokòs, la Madre di Cristo, per cui ci fu il famoso scisma nestoriano. Un Papa di grandissimo studio non può parlare a caso, ed infatti Benedetto non scrive mai senza ponderare le parole. Per cui alcuni, comprendendo, in questi giorni hanno scritto: ha perduto la memoria, è in condizioni psichiche precarie, non è più lui. Non vi crediamo, anzi. Forse che Benedetto XVI ha perduto la fede? E' divenuto, assiso su di un soglio dove si vede ciò che ai più non è dato, uomo del dubbio? Ma chi dubita, è nel cammino del perfezionamento, della conoscenza. Abbiamo ultimamente letto le memorie dell'Abbè Pierre e di Madre Teresa di Calcutta: candidamente confessano nei loro scritti, questi personaggi veneratissimi e considerati in odore di santità, che ad un certo momento, non credettero più. Non per questo li si biasima. Potrebbe essere accaduto anche a Joseph Ratzinger, e nessuno si potrebbe azzardare a giudicare, per poi non essere evangelicamente giudicato.

Forse Benedetto XVI con le sue mosse ponderate, vuole 'pilotare' il successore per gli eventi immensi che verranno? C'entra la decisione, se così sarà davvero, di ritirarsi in un monastero all'interno delle mura vaticane (non diamo credito a chi interpreta tale scelta come sicurezza per la sua vita o timore di essere processato per fatti a lui non imputabili) ? Lo comprenderemo a breve.

Siamo in tempi difficilissimi, nel pieno del turbine per la cosiddetta "barca di Pietro": la quale tuttavolta, ci si diceva autorevolmente in un Monastero di Suore Benedettine da limpidissima ed alta voce, escirà vincitrice anche da queste prove dolorose perchè mai potranno prevalere le forze del male: la Chiesa è dello Spirito Santo.

Accettiamo volentieri la lettura, auspicando altresì che se verrà a breve un nuovo Pastore a guidare l'ecumène cattolica, comprenda che è nella povertà, nello spogliarsi di tutto e darlo ai poveri e seguire il Maestro, che si rifonderà la comunità cristiana: risorgere, o perire. Ecclesia spiritualis di contro alla troppo corrotta Ecclesia carnalis, già lo indicava Gioachino da Fiore. Quindi anche le "rivoluzioni" che il gesto di Benedetto porterà con sè, e a nostro avviso saranno tante e di grandezza oggi incredibile anche a scriversi, potranno spogliare la Chiesa delle sue colpe, e rivestirla di Luce. "Se dunque abbiamo vitto e vestito, accontentiamoci di questo. Quelli invece che vogliono abbondare di ricchezze, cadono nella tentazione, nei lacci, in molte cupidigie insensate e funeste che sommergono gli uomini nella rovina e nella perdizione. Infatti la radice di tutti i mali è l'amore del denaro. E alcuni che hanno cercato di averlo si sono smarriti lontani dalla fede e si sono trafitti con innumerevoli tormenti" (I lettera di S.Paolo a Timoteo, 8-10).

E ancora: "Io sono la luce del mondo: chi mi segue non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita" (Gv. 8,12). E' questo l'augurio e, per chi sa e vuole, la preghiera: che la comunità del Maestro torni ad essere ciò che era in Israele, un gruppo di fratelli che cammina in purezza, spoglio da metalli e nella nudità francescana, verso la Luce.

F.Gio