martedì 26 aprile 2011

Chi era il primo Re d'Italia, Vittorio Emanuele II



Le celebrazioni dei 150 anni d’Italia


Chi era Vittorio Emanuele II, il Re Galantuomo che unì la Patria


Necessaria la precisazione, ora che anche la repubblica lo ha onorato, che il primo capo di stato
fu sovrano costituzionale e moderno – Ottima impressione dalla casa reale inglese -
 
Abbiamo assistito, un po’ ovunque in Italia, alle feste celebrative del 150° anniversario dell’Unità nazionale; alle manifestazioni di piazza, è stato festeggiato il Presidente della Repubblica (ora in carica è Giorgio Napoletano), il quale come da carta costituzionale, è il simbolo della coesione nazionale. Le folle agitanti il tricolore, ébbero l’istinto più che la consapevolezza razionale: l’Unità della Patria è normale e bello debba essere festeggiata nelle ricorrenze: ma non è colpa della gente se essa non fu del tutto consapevole –per una disinformazione artatamente costrùtta- che l’anniversario è della proclamazione del Regno d’Italia, e quindi della scaturigine monarchica del nostro stato: l’Unità nazionale si compì sotto l’egida, sotto il sigillo della "bianca croce di Savoja" (per usare il verso di Carducci), non certo per meriti di presunti repubblicani postumi. Che ciò sia non solo storicamente innegabile ma anche acquisito, lo si vide il giorno delle commemorazioni allorché il Presidente Napolitano (ed i cronisti quasi meravigliati a riportare la scena), alla presenza della famiglia Reale di Casa Savoia con in testa il Principe di Napoli Vittorio Emanuele, ha reso omaggio al Pantheon alla tomba del primo Re d’Italia, Vittorio Emanuele II; in precedenza, al Vittoriano sempre il Presidente deponeva una corona d’alloro ai piedi del monumento equestre al gran Re, vero ed autentico "pater Patrie". La cosa si chiudeva quasi alla spicciolata lì, per la retorica dei comunicati: invece, è stato un gesto fondamentale: la sessantacinquenne repubblica (da noi da queste colonne già definita luètica per le tabe della sua nascita, attraverso il referendum truffa) che rende il doveroso, dovuto ed obbligatorio omaggio alla ottantacinquenne monarchia italiana (casa Savoia), per giunta fautrice di quella Unità nazionale che abbiamo, ognuno a proprio modo, festeggiato. E le manifestazioni, anche queste belle, verso la figura del Presidente, hanno del surrogato e vengono dal sentimento più che dalla ragione: è al simbolo che si inneggia, ed il simbolo dell’Italia unita non può essere una persona, per quanto dabbene, che va e viene ogni sette anni. Il simbolo è un Re. E quel Re, è stato onorato nel sacrario del Pantheon. Finalmente.
Necessita quindi in questa sede, una veloce immagine quasi fotografica, in ‘effetto seppia’, ci sia consentita l’allegorìa, del sovrano che costituzionalmente vòlle fermamente e realizzò l’Unità italiana, ovvero Re Vittorio Emanuele II. La storia lo definisce, ed era anche la sua preferita descrizione, "il primo soldato dell’indipendenza italiana": poiché animo di soldato ebbe, soldato si sentì sempre, soldato fu nella vita politica, nella vita privata, nello stile. Assunse il potere ventinovenne nelle infauste giornate della prima guerra d’indipendenza, e dovette negoziare col celebre Radezski l’armistizio detto di Salasco (1849): e tuttavia, adeguandosi e condividendo le aspirazioni del padre Carlo Alberto il quale concedeva un anno circa prima, al Regno di Sardegna la carta costituzionale detta anche Statuto Albertino, mantenne l’ordinamento e non volle, come chiedevano gli austriaci e tutte le case regnanti italiane, dai Borbone (che passano alla storia per aver giurato e spergiurato tante volte sulle costituzioni, quindi sull’anelito di libertà dei popoli: perciò sono esecrati dai contemporanei e mal ricordati, nonostante un certo neoborbonismo, dai posteri) al Papa, avevano fatto, revocare lo Statuto, quindi la garanzia che la monarchia doveva essere moderna, subordinata cioè al Parlamento: questo aspetto sarebbe stato necessario illuminare nettamente –e non poteva farlo l’attuale politica repubblicana, per paura di scoprire le proprie deficienze-, in particolare ai giovani d’oggi. Che l’Italia unita dalla monarchia di Savoia nasce costituzionale, con un Re che sceglie di mettere la sua figura millenaria tre passi indietro alla volontà delle masse, ovvero al Parlamento. E il ‘dominus’ di quel Parlamento, il quale doveva sanzionare a palazzo Carignano di Torino la nascita del Regno d’Italia, era un gentil’uomo di nome Camillo Benso di Cavour.
Vittorio Emanuele era donnaiolo, spendaccione, simpatico, non parlava bene, anzi in modo pessimo, l’italiano preferendogli il francese sua lingua madre: e dovè barcamenarsi con Napoleone III nei giorni della seconda guerra d’Indipendenza, allorché l’Imperatore consentiva, o non impediva, l’unificazione degli stati del Regno delle due Sicilie, mercé l’opera indispensabile del "guerrigliero" Garibaldi, segretamente sostenuto e foraggiato da Re Vittorio, molto meno dal Cavour. Ma venivagli facile codesto abboccamento col sovrano francese: entrambi avevano la medesima amante, la quale era la cugina del Bonaparte e moglie del più fidato consigliere del Re, Urbano Rattazzi. Re Vittorio nel suo carattere irruente, si guadagnò le simpatie di quelle potenze, Gran Bretagna e Francia, che ebbero parte fondamentale nel nostro processo unitario. Lo descrive in termini precisi, conferendogli l’Ordine della Giarrettiera, nel 1855 la Regina Vittoria: "E’ così franco, aperto, giusto, leale liberale e tollerante, e con tanto buon senso. Non manca mai di parola e si può sempre contare su di lui. Ma è selvaggio e stravagante: ama le avventure ed i pericoli, ed ha un fare strano, conciso, rozzo, una esagerazione di quel modo brusco di parlare…. Più che una figura dei giorni nostri, egli è davvero un cavaliere del medioevo". Si notino i due passaggi essenziali della prosa vittoriana, che tanto pesarono sulla politica italo-inglese dei decenni successivi: sul Re, e quindi sulla Casa Savoia, si può sempre contare poiché sono di parola: e Vittorio è una figura da epica romanzesca. Su tale uomo certo assolutamente necessario alla Patria nella metà del secolo XIX, imperniavasi l’Unità italiana. Senza alcun dubbio, egli ebbe le sue debolezze: la più grave, ma comprensibile, fu l’invidia vasta per il personaggio più popolare d’Italia, Garibaldi: non solo lo fece impallinare in Aspromonte per non creare problemi a Napoleone III, considerato che anche su impulso suo (gli ordini alla squadra navale militare di Catania di imbarcare i ribelli garibaldini e portarli in Calabria, furono dati dalla Casa Reale e col concorso della onnipresente Frammassoneria, in quelle giornate del 1862) l’Eroe era ridisceso in Sicilia per marciare ex novo verso Roma; ma anche due anni dopo, quando il Generale era in visita più che trionfale a Londra, impedì al nostro ambasciatore di partecipare alle autentiche ovazioni che tutti, dai Windsor al popolino, tributavano al liberatore della Patria (ed allora Gran Maestro della Massoneria nazionale).
Ma Vittorio Emanuele, pur non accettando le ribellioni del novello Regno italico (dopo la rivolta palermitana del 1866 non esitò ad appoggiare il pugno di ferro della repressione), ebbe sempre il buon senso, pur tentando spesso di scavalcare –ed a norma di Statuto poteva, ma de facto non accadde mai e laddove intervenne con dei politici fantocci, dimostrò il danno che due quadri di comando, casa reale e capo del governo, possono addurre- il Parlamento, di attenersi a quel dettame secondo cui egli il 17 marzo 1861 fu acclamato Re d’Italia: "per grazia di Dio e volontà della Nazione": una formula che all’epoca faceva inorridire le altre case regnanti d’Europa, poiché il Re tale deve essere, si pensava allora, per diritto divino e non, socialisticamente (termine che usiamo non a caso), installato in trono dal popolo. Invece Casa Savoia sin dal 1861 unificava l’Italia in modo che oggi si direbbe ‘democratico’ (le virgolette son dovute), ma senza alcun dubbio assolutamente moderno per i parametri dell’epoca: in stile british, come del resto era nei voti.
Il primo Re capì subito chi erano gli italiani, questo germinato amalgama di popoli parlanti lingue diverse e con diversissime storie: "ci sono due soli modi di governare gli italiani: con le baionette o la corruzione; non capiscono cosa sia un regime costituzionale e sono del tutto inadatti ad esso": queste parole egli le disse all’ambasciatore inglese Paget nei giorni (1867) di Mentana riferendosi agli uomini politici del tempo, ma appaiono illuminanti per l’oggi, e per comprendere la mentalità dell’uomo. Ma del fatto che la Monarchia era nata con la stella, anzi il pentalfa (inciso nelle monete del tempo) della modernità, érane ben conscio: anche il suo successore, Umberto I, lo affermò subito dopo l’assunzione al trono: "La monarchia in Italia o sarà democratica o non sarà".
Vittorio Emanuele II moriva nel gennaio 1878, a 57 anni per uno dei suoi frequenti attacchi di malaria: pochi giorni dopo lo seguiva nella tomba l’arcinemico Pio IX confinato in Vaticano. Fu universalmente compianto: aveva scelto per la Nazione che ebbe dalla Divinità la sorte di reggere, la via della modernità e del progresso, nel solco della carta costituzionale la quale significa libertà del popolo: l’attuale costituzione repubblicana del 1948, altro non è che figlia di quella storia. Tale è l’autentico percorso dell’Italia unita. Con le parole di Giuseppe Garibaldi: "L’Italia una ed il Re Galantuomo siano i simboli perenni della nostra rigenerazione e della grandezza e prosperità della Patria". Onoriamo la repubblica ma amiamo la Patria, che nel suo sentimento è e rimarrà monarchica.
Barone di Sealand
 
 
(Publicato su Sicilia Sera n° 338 del 24 aprile 2011)

Rivoluzione dei giovani in Africa e medio Oriente



Il risveglio delle genti ha motivi generazionali


La rivoluzione in Africa ed in medio Oriente è dei giovani


Le genti seguaci del Libro sacro del Profeta, stanno riscrivendo la storia eliminano i governi corrotti
e instaurando la democrazia delle piazze – Vecchiezza degli europei, ma prendere esempio -
 
"Quelli che tratteranno di menzogna i miei segni, e per superbia se ne allontaneranno, saranno i compagni del fuoco, in cui rimarranno in eterno" (Corano Sura VII, 34). Solo (1543) un secolo dopo la conquista turca di Costantinopoli, l’Europa colta prese a leggere il testo coranico nella versione latina (poi tradotta nelle varie lingue del continente): tale precisazione storica, è fondamentale per comprendere quanta distanza dalla forma mentis mussulmana –e nel mondo islamico, la forma del testo è sostanza- vi sia stata, nei secoli passati: e tale incomprensione continua, nell’apparentemente istruito mondo dell’Occidente. Mentre infatti assistiamo a quel sommovimento di popoli che il Presidente della Camera Gianfranco Fini ha correttamente definito "un nuovo 1989, paragonabile alla caduta del muro di Berlino", al risveglio rivoluzionario delle genti del nord Africa le quali, scrollandosi dal loro servaggio, depongono governi autocratici e dittatoriali, imponendo mercé il tramite delle piazze, le loro decisioni, l’Europa ammorbata dalle pestilenziali conseguenze della sua corruzione etica, assiste (ci riferiamo alle genti comuni, non ai governi, questi ben coscienti delle significazioni e delle implicazioni d’ordine politico internazionale che la stuazione comporta) quasi inerme, a tale gigàntico respiro di popoli giovani.
La chiave di lettura è infatti codesta, fra le principali: intesa comunemente come rivoluzione, quella delle nazioni nord africane e dell’Asia minore di religione islamica, avente motivazioni economiche (poiché la lente pseudo marxiana e meccanicistica della economìa non sa concepire altro…), la richiesta di Libertà che ha portato Tunisia Egitto, e poi Libia ed i paesi del Golfo (sino al santuario dell’Islàm, l’Arabia Saudita) a rovesciare o fortemente contestare le dittature che li gestivano, ha motivazioni nell’entusiasmo dell’età delle genti: piu della metà delle popolazioni di codesti stati, viaggia intorno ai 25-30 anni, e desidera non solo attingere ai benefizi della ‘democrazia occidentale americanizzata’, per intenderci superficialmente in tre parole, ma anche –pur non rinunziando assolutamente alla visione islamica della vita, come accade in Turchia, nazione che sarà presa ad esempio nel giusto frangente, dai governanti nuovi- gestire in prima persona il cambiamento, come è costume delle autentiche rivoluzioni. Sicuramente la transizione ha eliminato le classi di mezzo, responsabili della corruzione: il Capo della giunta militare al potere in Egitto, Hussein Tantawi, ha 76 anni; il nuovo capo del Governo tunisino Cadi Essebsi, ha 86 anni (come se da noi si eliminassero tutti i parlamentari e ci governasse il Senatore a vita Emilio Colombo… che però non può vantare la medesima trasparenza etica dei predetti!): dei ‘vecchi’ però moralmente indiscutibili, al timone di una massa di giovani. E’ la Storia che guida gli eventi. Dal magma dei giorni convulsi stanno emergendo ed emergeranno uomini nuovi, condottieri forgiati al verbo della tecnologia e della tradizione perfettamente coniugati, in questo XXI secolo, onde fungere da guida per le nazioni le quali religiosamente venerano la Parola di Allah e del suo Profeta, da noi citati all’inizio, nella coscienza illuminata di un cammino che li renda protagonisti e non piu sudditi, nel futuro che hanno innanzi ed a cui evidentemente guardano con rinnovata speranza, quanto da parte dei popoli d’Europa invece si fa con tristezza e scoramento.
L’età anagrafica tra le masse africane ed asiatiche mussulmane e le genti d’Italia, di Spagna, di Francia, di Germania, del Regno Unito, è un importantissimo spartiacque: i giovani hanno eu-thymòs, entusiasmo, spensieratezza e voglia di vivere e costruire: gli ultracinquantenni ed i ‘vecchi’ che compongono, all’inverso, le compagini delle nazioni d’Europa (Italia per prima), desiderano protezione dai governi, acquiescenza ed hanno paura del nuovo, dei rivolgimenti che non sannogestire; avversano per invidia generazionale quei giovani popoli, e li considerano con una punta di disprezzo, di genìa inferiore. Ma l’avvenire, lo insegnava già Benito Mussolini nella dottrina del Fascismo, è dei popoli che hanno con loro la fiamma della giovinezza (ciò anche a prescindere, non troppo tuttavia, dall’età), quindi il desidero di abbattere i tiranni e gli oligarchi i quali come sanguisughe sfruttano senza freni il lavoro ed il capitale umano delle genti, imponendosi e volendo migliorare nel privato come nel pubblico. Questi popoli hanno pure la fortuna di aver innanzi dei capi i quali li affrontano con coraggio: è dei giorni scorsi il gesto, davvero degno delle Storie di Tucidide, del nuovo primo ministro egiziano, che innanzi alle proteste dei Copti (dopo l’incendio di una chiesa seguito agli scontri innescati dal connubio di un cristiano con una musulmana), è personalmente sceso in strada ad incontrare, senza scorta e presidi, i manifestanti, facendosi ascoltare e guadagnando così sul campo quella credibilità che i predecessori, gente corrotta e chiusa nei palazzi blindati dònde depauperarono le popolazioni, perdettero ignominiosamente. Comportamenti da decenni non veduti in Italia, ed anche nelle vicine nazioni (se si eccettua il Regno Unito di Gran Bretagna, dove il Premier ha l’abitudine di andare al palazzo governativo in bicicletta, come tanti altri cittadini, e non solo per dare l’esempio…). Una canzone del ventennio ammoniva che "è il sangue a fare la storia, contro l’oro…": a tale verità stiamo assistendo in questi giorni. V’ha invero, nella congerie di interpretazioni e di commenti alla rivoluzione delle masse in Africa ed in medio Oriente, tra le letture sottotraccia, quella cospirazionista, che accusa i sempiterni USA di manovrare nel torbido onde sottomettere gli ingenui e farli cadere nella pània di quello che spregiativamente viene definito il nuovo "governo mondiale", ovvero la Sinarchìa. Ma tale angolatura, oltre ad offendere l’intelligenza degli uomini colti che albergano fra coloro che guidano le rivolte, ed in generale sottintendere una scarsa considerazione del mondo islamico, dimentica che il sangue delle genti versato per l’ideale della Libertà (sia pur essa una utopia o, come nel caso di Lafayette e Garibaldi, un sacro ideale da seguire in Francia e nelle Americhe), consacra il suolo che lo riceve, in un olocausto perenne, di cui secoli e secoli non cancelleranno mai le tracce. E’ altresì sufficiente leggere in controluce le mosse diplomatiche della attuale amministrazione Obama –come quelle ben piu attente ed oculate dell’inossidabile Foreing Office britannico- per rendersi conto di come gli stati a capo della coalizione Nato siano costretti a pronunciarsi, e ad intervenire, nei giorni della perdurante crisi politica e sociale che opprime i rispettivi stati. Può apparire la solita scappatoia –come la crisi petrolifera del 1973, oppure la guerra del Golfo del 1991- da parte degli USA, di svicolare dalle problematiche interne attraverso la guerra esterna ed il rinnovo dell’apparato militare: ma con la Cina in posizione di potenza espansionista (anche se al momento attendista ed in difficoltà nel mantenere il fronte interno, specie nel Tibet e nelle province ai confini còlla Russia, ferventi di moti secessionistici) e la Russia con poche sponde europee (tra cui il dilacerato governo italiano, nella sua infelice scelta di allearsi col primo ministro Putin scontentando i vertici finanziari e politici statunitensi: motivo per cui Berlusconi è da tempo inviso ai circoli ‘illuminati’ delle giurisdizioni sud e nord di Washington…), il caso delle rivoluzioni in Africa e nei paesi del medio Oriente, è il fatto nuovo ed entusiasmante del XXI secolo, a cui, presto o tardi, dovrà rispondere anche la piu sclerotica (politicamente), ingessata e nondimeno fondamentale, unica democrazia ‘occidentale’ presente nella regione: Israele. Di cui gli attenti avranno notato il silenzio e l’apprensione. Intendiamo attesa ed apprensione acute, non già paura o titubanza: i figli della grande Sion difenderanno, se ve ne sarà bisogno, la terra dei Padri sino all’ultima stilla del sigillo salomonico. Però, a parer nostro, il rinnovarsi dei governi viciniori non potrà non avere ripercussioni, che fidiamo positive in senso sociale, anche nella ‘eretz Israel’. Infne, nel sottolineare il ruolo dei militari nell’ambito della gestione spesso pacifica delle rivolte (ma anche negli scontri sanguinosi, come in Libia), si può affermare come in uno Stato che sia degno di questo nome, di là dalla data storica della sua nascita, le Forze Armate siano e debbano sempre essere, come nei momenti di estrema crisi si dimostra, il vertice del triangolo, la spina dorsale della Nazione, a cui il popolo può appellarsi se necessario, e da cui ricevere sicurezza garanzia ed aiuto. Anche in Italia fu così: nei tragici giorni della guerra sciaguratamente dichiarata e perduta, le nostre FF.AA. guidate personalmente dalla Maestà del Re Vittorio Emanuele III, pur crollando nei vari fronti per la caduta del fascismo e l’armistizio, conservarono attorno alla bandiera nazionale ornata dalla bianca croce sabauda, quel simbolo e segno dell’Unità italiana che dopo la liberazione del nord, si ricostituiva indiscutibilmente. Fu così: ma in momenti di necessità oggi, succederebbe altrettanto? Ne dubitiamo, però sarebbe da auspicarlo.
I popoli dell’Africa e dell’Asia minore, seguaci del Libro sacro, stanno scrivendo fulgide pagine della storia: sosteniamoli, ammiriamoli e, se è il caso e se ne abbiamo la possibilità, seguiamo l’esempio: "Per l’aurora e per le dieci notti… non hai tu veduto come ha agito il tuo Signore?…E tu, anima buona sicura della tua sorte, ritorna al tuo Signore, soddisfatta ed a lui accetta! Entra fra i miei servi, entra nel mio paradiso!" (Sura 89, vv.1-5, 27-30)
Barone di Sealand


(Pubblicato su Sicilia Sera n° 338 del 24 aprile 2011)

martedì 19 aprile 2011

Akkuaria contro il nucleare: lettera aperta di Adriano Celentano


Riceviamo da parte dell'amica Vera, volentieri pubblichiamo e sottoscriviamo:


Carissimi,

l'Associazione Akkuaria che presiedo da sempre è stata impegnata nella salvaguardia dell'ambiente, della natura e degli animali e spesso abbiamo realizzato campagne di sensibilizzazione a favore di qualche atrocità che attanaglia l'umanità nel nome del progresso. Per l'attività della nostra associazione abbiamo sempre disatteso le lusinghe di questo o quell'altro gruppo di disattendibili colori politici... la nostra unica politica è stata quella dei "fatti" e non delle "parole". Adesso però siamo scesi in campo per sostenere i referendum del 12 giugno.

Le motivazioni che ci hanno spinto a muoverci sono riassunte in un video che ha pubblicato Adriano Celentano a questo indirizzo http://www.youtube.com/watchv=iszBxpIqh6w&feature=related

qui di seguito riporto il testo integrale del suo appello..

« La cosa più incredibile che più di tutti impressiona è lo stato di ipnosi in cui versano gli italiani di fronte ai fatti sconcertanti di una politica che non è più neanche politica, ma piuttosto un qualcosa di maleodorante e che di proposito, vorrebbe trastullarci in uno stato confusionale, dove sempre di meno si potrà distinguere il bene dal male. Sparisce quindi quel campanello di allarme che ci mette in guardia quando c’è qualcosa che non quadra nei comportamenti di un individuo, un qualcosa che detto in una parola si chiama… sospetto e di sospetti sul nostro presidente del consiglio, tanto per fare un esempio, ce ne sono abbastanza e così nel bel mezzo di una tragedia come quella che sta vivendo il Giappone, dove fuoco e acqua stanno distruggendo tante vite umane, senza contare l’aspetto più insidioso dovuto alle radiazioni liberatesi nell’aria, il nostro presidente del consiglio non demorde “il progetto sul nucleare in Italia andrà avanti”, l’orientamento popolare contro le centrali nucleari decretato dal referendum fatto 24 anni fa, fu chiarissimo, ma per Berlusconi non basta “chi se ne frega della sovranità popolare”. Ho seguito con un certo interesse il cammino politico del terzo polo, e Casini che fino a prima della tragedia di questi giorni ha sempre parlato in modo equilibrato, subito dopo il terremoto, intanto che le radiazioni cominciavano a liberarsi nell’aria e 300.000 persone venivano evacuate dalle loro case, ci ha tenuto a ribadire con una certa fierezza, il suo parere favorevole al nucleare, facendo quasi un rimprovero al governo per non aver ancora iniziato i lavori. Caro Casini, che tu fossi un nuclearista convinto lo sapevamo tutti, ed io rispetto la tua opinione, anche se orribile. L’Italia è uno dei paesi a maggior rischio sismico, come tu sai, le radiazioni sono pericolose non soltanto perché si muore, ma per il modo in cui si muore, una sofferenza di una atrocità inimmaginabile e poi, non si è mai in pochi a morire, specialmente quando la catastrofe raggiunge dimensioni come quella che sta vivendo la povera gente in Giappone. E non venirmi a dire che le centrali nucleari di terza generazione sono più sicure della seconda e che ancora più sicure della terza saranno quelle di quarta, disponibili peraltro nel lontano 2030, la verità è che tu e Berlusconi, siete degli ipocriti marci. Lo sapete benissimo che per quanto sicure possano essere le centrali atomiche, anche di decima o di undicesima generazione, il vero pericolo sono soprattutto le scorie radioattive che nessuno sa come distruggere e che già più di mezzo mondo ne è impestato. Ora il mio potrebbe sembrare un appello, ma non lo è, è una preghiera, una preghiera che non è rivolta ai politici “loro non sanno quello che fanno” per cui mi rivolgo a tutti quelli che invece li votano i politici, di destra, di sinistra, studenti, leghisti, fascisti e comunisti… per il vostro bene, non disertate il referendum, questa volta, sarebbe un suicidio. Dobbiamo andare a votare anche se il governo spostasse la data del referendum, al giorno di Natale. Adriano Celentano


Un invito che personalmente vi rivolgo è quello di parlare con chiunque incontrate, votare SI per dire no è l'unica alternativa che ci resta per fermare la mano di chi ha soltanto l'interesse di arricchire le proprie tasche. Maggiori informazioni sull'argomento saranno pubblicati sulla sezione di Akkuaria Ambiente http://www.akkuaria.com/ambiente/index.htm

un cordiale saluto

vera ambra