martedì 7 dicembre 2010

Il Papa contri i capitali anonimi: ma se lo IOR...


Intorno alle operazioni finanziarie della Chiesa


Il Papa tuona contro i capitali anonimi: e lo IOR?


La banca ‘di Dio’ è un vero e proprio paradiso fiscale ed i movimenti di essa non sono
soggetti né a ricevute, né a tracciamento – Essere ed apparire -


Alla recente settimana sociale dei cattolici svoltasi a Reggio Calabria, nella sua conclusione il Santo Padre ha invitato a rendere incisivo l’impegno nella politica, nel sociale, nelle istituzioni, da parte di una nuova classe precipuamente di giovani, che facciano scaturire il senso autentico del messaggio cristiano. In frangenti quanto mai chiari di assoluta crisi, quasi vacatio, etica, è un auspicio condivisibile. Le linee erano state tracciate nei mesi scorsi: epperò ci pare importantissima l’affermazione di un discorso ‘a braccio’, pronunziato pochi giorni prima dal Pontefice, aprendo il Sinodo dei Vescovi del medio Oriente: tra le false divinità che opprimono il mondo, Benedetto XVI ha affermato: "Pensiamo alle grandi potenze della storia di oggi. Pensiamo ai capitali anonimi che schiavizzano gli uomini, che non sono più cose degli uomini, ma un potere anonimo dal quale gli uomini sono asserviti, tormentati, anche trucidati. Sono un potere distruttivo che minaccia il mondo". Non sono parole espresse a caso: il successore di Pietro quasi mai, tranne in condizioni di assenza di sanità mentale, disquisisce senza costrutto.
Nelle settimane precedenti, come qualcuno ricorderà, il Presidente dello IOR, la banca vaticana, Ettore Gotti Tedeschi, ed il suo direttore generale, sono stati iscritti nel registro degli indagati dalla Procura di Roma per violazione delle norme finanziarie anti riciclaggio, ovvero per aver fatto transitare dal Credito Artigiano della capitale ben 23 milioni di Euro, destinati alla Deutsche bank e poi in altri conti, senza che venisse indicato il beneficiario dell’uno e dell’altro capo dell’operazione. Ultimamente l’inchiesta si è allargata, avendo il Tribunale di Roma confermato il sequestro dei milioni di Euro, ed indagato su in assegno di 300 mila Euro a nome di una inesistente Maria Rossi, ed un prelievo contante di 600 mila euro a destinatario sconosciuto: non certo operazioni di trasparenza, per cui non è proprio il caso di manifestare stupore, come ha invece fatto il capo della sala stampa vaticana, p.Federico Lombardi. Le norme antiriciclaggio sono in Italia chiarissime. Dopo le parole del Papa, l’indagato Presidente IOR Tedeschi ha affermato, nel corso dei lavori di Reggio Calabria: "Se il Papa fa questa dichiarazione vuole che noi non ottemperiamo?… Ritengo che, soprattutto nel mondo globale, dove ci sono flussi finanziari consistenti, l'esigenza di trasparenza sia indispensabile, tanto più per le istituzioni legate alla Santa Chiesa, per evitare che gli errori degli uomini possano intaccare la credibilità della Chiesa. Bisogna essere esemplari". Trasparenza, appunto. E poteri distruttivi. Egli ha evitato altre domande, né i giornalisti presenti hanno avuto l’attenzione di chiedere, e riferire ai cittadini, che lo Stato della Città del Vaticano, nato nel 1929 in seguito al noto Concordato, è un vero e proprio paradiso fiscale offshore, laddove lo IOR non rilascia nessuna ricevuta per le proprie operazioni bancarie; dove i clienti sono assolutamente anonimi ed identificati solo da un numero, tutti i passaggi di denaro avvengono tramite bonifici, non si accettano rogatorie internazionali, e (finora) la Santa Sede, ai cui soli vertici la movimentazione bancaria dello IOR è nota, non ha aderito agli accordi internazionali antiriciclaggio.
In altre parole, mentre ove ciascuno di noi, recandosi semplicemente in un qualunque ufficio postale o bancario per un bonifico o per un prelievo, deve esibire fior di documenti estremamente dettagliati, in ottemperanza alla normativa in vigore in Italia per il controllo del flusso del denaro, la Santa Sede, pari a taluni stati del centro America che sono a tutti gli effetti dei paradisi fiscali offshore (nonché inclusi nella cosiddetta black list del Fondo Monetario Internazionale, ossia non offrono nessuna informazione in merito ai capitali che custodiscono ed ai proprietari di questi), se ne infischia di codeste norme. Almeno sino a quest’anno: il Cardinal Segretario di Stato Bertone ha infatti recentemente dichiarato che il Vaticano aderirà, entro il 2010, alle normative internazionali in materia di controllo dei flussi finanziarii. Parrebbe quindi, dal punto di vista degli alti prelati, tutto chiarito; e giungerebbero opportune, anche se –dati i frangenti- interessate e diremmo tardive, le affermazioni pur dense di oscuri presagi, del Santo Padre (il quale in tale occasione non parla ex cathedra, quindi non gode del dogma dell’infallibilità, come sancito dal Concilio Vaticano II, che lo limita solo a materie afferenti la fede), se si evitasse di tener conto della rete finanziaria intessuta dallo IOR, in questi ultimi trent’anni, nel mondo.
Non si vuole qui assolutamente polemizzare con i passati vertici della banca detta ‘di Dio’, con la fama che alcuni definiscono trista del fu Arcivescovo Marcinkus: persona invece astuta ed abile come pochi, ed a cui l’odierna finanza vaticana deve molto di più di quanto non sia disposta a riconoscere. Neppure si intende stilare una filippica contro i cosiddetti stati offshore: la cui legislazione è perfettamente lecita, ed i cui capitali, appunto, anonimi, sono la ricchezza di quelle isole di sogno, di quelle nazioni altrimenti destinate all’isolamento. Anzi, crediamo che tutto codesto accanirsi dei vertici finanziarii internazionali contro i detti paradisi fiscali, non sia affatto dettato da motivazioni di carattere etico, bensì da bramosìa di rastrellare quanto più denaro possibile, poiché si sa che la strada per Tipperary, citando una vecchia canzone di guerra inglese, ovvero la crisi economica, è ancora molto lunga e la fine di essa appare lontana.
Ma il Santo Padre dovrebbe, lo affermiamo col massimo rispetto pel trono di Pietro, con alta devozione per il messaggio dell’Apostolo e fidenti nella Luce della Trinità intramontabile, ponderare meglio le parole. Lo IOR ha, come è noto da indagini nazionali ed internazionali, innumerevoli banche consociate e partecipate (il celebre caso dell’Ambrosiano del povero Calvi fu il più eclatante, certamente non l’unico) che effettuano movimentazioni di enormi quantità di denaro, il cui tracciamento è pressoché impossibile. Mentre l’Opus Dei, ossia la potentissima organizzazione che per volontà del fu Papa polacco, ha preso la gestione dello IOR dopo le note vicende degli anni Ottanta (ed a cui appartengono i suoi vertici, da Gotti Tedeschi in giù), non si perita neppure di celare la propria longa manus, in tale settore. Che molti uomini dell’Obra fondata da Sant’Escrivà de Balaguer siano inseriti nei gangli vitali del potere politico ed economico italiano, è notizia arcinota: e non riteniamo la si possa criticare né eccepire. Pure, una sorda lotta tra quella che lustri fa era appellata la finanza laica contro quella bianca, o religiosa, ha portato (a nostro avviso con una certa correttezza) la Commissione finanziaria della Comunità Europea a sanzionare l’Italia per aver concesso l’esenzione dell’ICI agli immobili di proprietà della Chiesa, interpretandosi ciò come aiuto di Stato quindi violando le normative comunitarie. Se il Vaticano, che è attualmente esente, dovrà pagare allo Stato laico italiano le tasse sui numerosissimi immobili che possiede in Italia, sarà un inferocirsi di guerre sotterranee: ma le casse pubbliche ne avranno sollievo e giovamento. Sempreché codesta manovra, parte di un ben più grande disegno laddove si inseriscono le parole sui "capitali anonimi" di Benedetto XVI, giunga al fine e non venga bloccata, stroncata o silenziata da altri, e più clamorosi avvenimenti.
Cosa può dedurre da tutti codesti felpati movimenti, nelle alte sfere e nelle ovattate sale del rabescato potere, il cittadino laico, il cristiano comune, il libero pensatore? Se riprende, come quotidianamente dovrebbe, in mano il Libro Sacro, legge:"Non accumulatevi tesori sulla terra, dove il tarlo e la ruggine logorano e i ladri scassinano e rubano. Accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né il tarlo né la ruggine logorano e i ladri non scassinano né rubano. Infatti, là dov’è il tuo tesoro, ivi è pure il tuo cuore" (Mt.6, 19-21); "Figli miei, quanto è difficile per quelli che confidano nelle ricchezze, entrare nel regno di Dio" (Mc. 10, 24). Pensa poi all’immenso potere della banca vaticana, lo IOR, gestita dall’Opus Dei, alla opacità tenebrosa delle sue operazioni, alla enorme differenza di queste dalle normali movimentazioni che il cittadino italiano affronta quotidianamente; infine alle suddette affermazioni del Pontefice. E può solo confidare nella misericordia del Supremo Artefice, nella vergine purezza della Grande Madre, la cui semplicità di vita salva ogni dì il mondo, travisato da coloro che tradirono, dopo aver giurato: anche essi avranno, come è stabilito, la loro ricompensa.


Bar.Sea.


(pubblicato su Sicilia Sera n° 334 del 5 dicembre 2010)

Assolto il Principe Vittorio Emanuele di Savoia


L’inutile fango del "savoiagate" nel 2006


Assolto il Principe Vittorio Emanuele, la verità trionfa


"Il fatto non sussiste": così l’erede al trono ed i cinque accusati vedono cadere la melma di
vergognose accuse formulate dal pm potentino Woodcock – La Russa: riposino al Pantheon le salme degli ultimi due Re di Casa Savoia -

Estate del 2006: nella canicola come sovente vuota di notizie, soprattutto nell’anniversario dei sessant’anni dalla proclamazione della Repubblica , nonché del (falso, come dimostrano gli atti e la storia) referendum che sancì la fine della monarchia e della casa regnante di Savoja in Italia, scoppia come una bufera inaspettata quello che la pubblicistica, invero a volte degna delle peggiori specie del regno animale invertebrato, definisce il ‘savoiagate’: accusato di corruzione, gioco d’azzardo e sfruttamento della prostituzione il Principe di Napoli (ed erede al trono) Vittorio Emanuele, quasi settantenne, capo della Real Casa, viene arrestato e tradotto come un volgare delinquente a Potenza, ove sconta sette giorni di carcere, dopo a Roma diversi mesi di arresti domiciliari. L’inchiesta è avviata dal PM Henry J.Woodcock, già noto alle cronache giudiziarie per similari casi di indagini cosiddette eccellenti: con il Principe del sangue, vengono arrestati cinque persone, a vario titolo coinvolte nell’inchiesta, di cui tre siciliani: l’imprenditore messinese Rocco Migliardi, Nunzio Laganà, Ugo Bonazza, Gian Nicolino Narducci e Achille De Luca di Catania. Le ipotesi di reato, le insinuazioni, le malefatte inventate, la cattiveria anche da parte di taluni del cosiddetto ‘vecchio mondo monarchico’, sono in quelle settimane all’ordine del giorno. Persino Emanuele Filiberto, figlio del Principe, ora star della TV, viene brevemente coinvolto nell’inchiesta. La quale però va evaporando dopo qualche tempo, e nel 2009 gli atti si spostano per competenza al Tribunale di Roma. L’accusa, lo si rammenterà, era di associazione a delinquere per aver trafficato in slot machine in cointeressamento con gli altri allora imputati, a fini di lucro ed altre trame oscure. Ricordiamo altresì che in quell’occasione, sia nei siti Internet che sui giornali si rispolveravano le vecchie, ed inconsistenti, accuse al Principe di collusioni con poteri segreti, di traffici illeciti: insomma, nell’anno in cui sarebbe stato doveroso, per storici studiosi e divulgatori verso il cittadino del XXI secolo, come è già accaduto in altre Nazioni, dispiegare con dovizia di particolari la scaturigine della nascita della Repubblica dal vero e proprio colpo di Stato dell’allora Presidente del Consiglio De Gasperi, a danno di Re Umberto II e della Casa regnante, e come questi per evitare il già preventivato spargimento di sangue fraterno, abbia volontariamente e con clamorosa protesta scelto la via dell’esilio da Sovrano in carica legale, si dava la stura al pozzo melmoso delle fantasie del tutto inventate, a carico dell’erede legittimo di Casa Savoja.
Che codeste accuse fossero inventate, lo ha finalmente stabilito, come molti nel mondo monarchico non hanno mai dubitato, il 22 settembre di quest’anno il gup del Tribunale di Roma, assolvendo definitivamente l’Altezza Reale il Principe Vittorio Emanuele di Savoia (il quale, come si ricorderà, in virtù della riforma costituzionale del 2002, è da allora anche cittadino italiano dopo anni di esilio ingiusto), nonché i sopraddetti signori Rocco Migliardi, Nunzio Laganà, Ugo Bonazza, Gian Nicolino Narducci e Achille De Luca, dalle accuse all’epoca formulate, "poiché i fatti non sussistono". E’ evidente la discrepanza fra la notizia dell’assoluzione, che non ha avuto quasi nessuna rilevanza tra i mezzi di comunicazione, e le accuse ed il carcere, amplificati al solo fine di distruggere, con l’immagine personale del Principe, sinanco quella dell’intera casa Savoja. E però la Storia, checché ne dicano i maligni ed i nemici della Patria, non si può mai cancellare, ed il tempo è ottimo giudice. E ristabilisce la Luce, mentre per tratti può sembrare che imperino le tenebre.
Il Principe, sempre confortato dall’amore della consorte Principessa Marina Doria, nota per le numerose opere benefiche che patrocina, ha così commentato, in una recente intervista ad Oggi, mentre da Bergamo inaugura un ‘giro’ in varie località italiane per l’anniversario dell’Unità: "È come se mi fossi svegliato da un incubo. Mi do un pizzicotto e capisco che non c’era nulla di vero. È una sensazione stupenda… come in un brutto sogno mi sentivo impotente, vittima di un ingranaggio più grande di me. Le accuse erano talmente assurde che non sapevo come difendermi…Credetemi, in tutta questa inchiesta non c’era un solo elemento di concretezza che mi permettesse di replicare, reagire, ribattere. Era tutto sfuggente, inafferrabile. Era come lottare contro gli spettri. Una cosa tremenda…È tutto finito. E proprio come capita con gli incubi, una volta sveglio cerchi di ricostruirli. Lo fai con un animo disteso, più sereno. Di una vicenda drammatica riesci a ricordare anche gli aspetti più belli, più divertenti e paradossali… È il tempo che mette a posto le cose. Mi avevano coperto di vergogna. Adesso quella vergogna è finita addosso a loro" . Della sua vicenda e del magistrato che lo ha letteralmente perseguitato afferma: "Fino a qualche giorno fa nutrivo un certo rancore per chi ha fatto soffrire me e la mia famiglia. Oggi per quella persona provo pietà…Woodcock, John Henry Woodcock. In questi anni 210 persone da lui inquisite sono state assolte perché contro di loro non c’era niente, niente di niente. Al processo, prima ancora della difesa, il primo a chiedere la mia assoluzione è stato il pm, la pubblica accusa": Della sua vicenda intende fare un esempio perché più non accada a nessuno il dramma personale vissuto:"Capita un po’ troppo spesso. Non è normale costruire processi come il mio, con accuse a vanvera, fondate sul nulla…Nel nome della legge in questo Paese vengono commesse colossali ingiustizie. Non si può sbattere la gente in galera così, sulla base di un teorema. Ci vogliono le prove. Ecco, io vorrei che il mio caso offrisse lo spunto per cambiare. Penso al bene dei cittadini. Ma anche al bene di questo magistrato, che non va lasciato nelle condizioni di commettere altri errori. Perché alla fine ad andare di mezzo sarà lui. Un giornale lo ha definito il pm delle cause perse. Terribile". E per sé il Principe chiede, come farebbe qualunque cittadino, i danni allo Stato (che a parer nostro, effettuando la tanto sospirata riforma della giustizia, dovrebbe pagare di tasca propria il magistrato che ha sbagliato, ossia non solo ha commesso un crimine etico inquisendo degli innocenti, ma ha provocato aggravi finanziarii alle casse statali!): ma è una richiesta da gran signore, da rappresentante di quel casato che è il più antico della penisola, che vanta mille anni di storia da Umberto Biancamano: "Mi accontenterei di vedere le salme dei miei genitori rientrare in Italia, nel posto che spetta loro, al Pantheon".
Re Umberto e la Regina Maria Josè, della casa di Sassonia Coburgo, avrebbero senza alcun dubbio il diritto di tornare nel sacrario italico dei nostri Re unitari. Il Principe, con tatto, non aggiunge, ma è nostro intendimento ribadirlo, come più volte da queste colonne e da altre platee, che tornino al Pantheon primariamente le spoglie del Re Soldato Vittorio Emanuele III, il vincitore della grande Guerra (sepolto ad Alessandria d’Egitto), e della Regina della Carità, Elena del Montenegro Petrovich Niegos (sepolta a Montpellier in Francia), a cui si deve esser grati imperituramente per le opere benefiche intraprese (noi siciliani sempre rammentiamo le attività indefesse a pro dei terremotati di Messina del 1908); persino l’attuale Repubblica Italiana le ha dedicato un francobollo commemorativo. Solo in questo modo, i centocinquant’anni dell’Unità nazionale che furono la gloria indiscutibile della Casa sabauda, potranno essere celebrati e conchiusi con degnazione e sovranità. Come del resto è accaduto in Nazioni anche non proprio democraticissime (la Russia ha onorato le salme dello Czar e di tutta la famiglia reale, ad esempio). Nei giorni scorsi il Ministro della Difesa Ignazio La Russa ha ufficialmente dichiarato che è necessario, pur per "un atto di pietà", chiudere le celebrazioni centocinquantenarie dell’Unità riportando al Pantheon le salme degli ultimi due Re d’Italia e delle loro consorti: azione assolutamente lodevole e meritevole del più ampio plauso, che a questo punto attendiamo a breve.
"E tu, Vittorio, abbraccia \ l’italica bandiera; il serto scaglia \ oltre il Po, nel terren della battaglia… a quel suon, di novelli \ fremiti il ciel d’Italia ecco rintrona; \ come nube che tuona \ e nel rovente folgore scoscende, \ lungo clamor da l’alpi al mar si stende": che tali versi del Vate Carducci, pel Re Galantuomo il quale suggellò nel 1861 la Patria comune sotto il suo scettro, possano essere di luminoso auspicio per le sòrti invero or tristi della nostra santa madre, l’Italia; che il clamore della bianca croce, illuminata dall’azzurro e dall’oro della Stella pentalfica, come nella verità han fugato le brutture nella vicenda anzidetta, tornino a proteggere i figli, specie i più bisognosi, e la casa comune, protetta dal glorioso tricolore.


Bar.Sea.


(pubblicato su Sicilia Sera n° 334 del 5 dicembre 2010)