lunedì 2 agosto 2010

L'Etica tra la ragione e la religione


L’esempio deve praticarsi dall’alto


Tornare al giusto concetto di Etica nella ragione e nella religione


I frequenti appelli del Papa alla morale, interpretata dalla dottrina della Chiesa, non hanno
contraltare nel mondo secolarizzato – La parola luminosa del Voltaire e l’accordo fra i giusti -


Le ultime vicende di corruzione che imperversano attraverso la stampa, continuano a trasmettere il messaggio comune che, se la morale popolarmente intesa è in pieno decadimento, non sussiste neppure una autorità superiore che può farsi latrìce di una qualsivoglia interpretazione ed applicazione della medesima, mentre le supreme autorità statali, sin dalla concezione dell’idea pura di Nazione, hanno –specie negli ultimi decenni- affatto rinunziato ad ergersi quali garanti di una corretta applicazione dei cosiddetti principi etici. Per essere più precisi, formuliamo un esempio banale: ove un cittadino ritenga di patire ingiustizia, si rivolge con fiducia alla Magistratura, che è –massime in Italia, poiché, per chi non lo rammenti, è dalla Suprema Corte che deriva il medesimo riconoscimento dello stato repubblicano, nel giugno 1946, ben più pregnante dell’oramai discusso e storicamente falso referendum sulla forma del governo- la garante massima del Diritto. Il quale in certo senso si investe di cognizione etica. E però, le vite private di quella corporazione, tra le tante in Italia ma certo più possente, dei Magistrati, non possono essere oggetto di giudizio in virtù della riservatezza della vita privata. In altre parole, chi amministra giustizia e in certo senso, morale, non può essere oggetto di moral questione. Allor ci si volge alle religioni, che dell’Etica fanno il fulcro della loro azione, strettamente connessa all’insegnamento pedagogico:il Cattolicesimo romano in particolare, nostra fede predominante. Sono frequentissimi i richiami dell’attuale Santo Padre, forse più dei predecessori, per una applicazione stringente ed aderente ai valori cristiani e della dottrina sociale della Chiesa, di quel concetto che egli stesso, in una allocuzione il 22 maggio u.s., ha appellato "Ethos mondiale": "Senza il punto di riferimento rappresentato dal bene comune universale non si può dire che esista un vero ethos mondiale e la corrispettiva volontà di viverlo, con adeguate istituzioni. È allora decisivo che siano identificati quei beni a cui tutti i popoli debbono accedere in vista del loro compimento umano… Ciò che, però, è fondamentale e prioritario, in vista dello sviluppo dell’intera famiglia dei popoli, è l’adoperarsi per riconoscere la vera scala dei beni-valori. Solo grazie ad una corretta gerarchia dei beni umani è possibile comprendere quale tipo di sviluppo dev’essere promosso… Esso è dato specialmente dall’incremento di quelle scelte buone che sono possibili quando esista la nozione di un bene umano integrale, quando ci sia un telos, un fine, alla cui luce viene pensato e voluto lo sviluppo" (cfr. ai partecipanti del Convegno della Fondazione Centesimus annus). Benedetto XVI inoltre, da finissimo teologo, torna sovente sulla relazione fra tomismo, razionalità e fede (cfr. udienza del mercoledì 16 giugno u.s.); nel precisare la figura del sommo Aquinate, non ha taciuto il riferimento importante alla consociazione di etica e principii inderogabili, nel mondo moderno.
Insomma anche affrontando i noti scandali allignanti nel suo interno, la Chiesa attraverso il magistero petrino si sforza di fornire, a credenti e non credenti, una via non diremmo propriamente solo di salvezza, ma di comportamento specchiato.
Quel che scandalizza in una società fortemente secolarizzata è che il rapporto etico appare assolutamente deficitario, in coloro i quali fanno professione di libero pensiero, di superiorità di atteggiamenti, in un termine di spòcchia intellettuale. Tra codeste categorie, libertine ne’ costumi come nel linguaggio, sono preponderanti i politici della nostra Patria. E’ semplicemente vergognoso sentir ciarlare taluni (non si fanno qui nomi per non insozzare le pagine orgogliose del giornale…) in termini che in altri tempi si sarebbe detto da osterìa, come altri non applicare il precetto senechiano secondo cui ci si deve sempre comportare come se tutti ci osservino, percorrendo le strade della rettitudine. Financo si assiste al farisaico comportamento di chi si permette di stigmatizzare, per rimanere nel solco dell’evangelo, la pagliuzza nell’occhio dell’altro, mentre la trave nel suo occhio è abnorme e macroscopica. Gli è che gli insegnamenti di quel Maestro supremo a cui tutti debbono riverenza, il dolce Rabbi di Nazaret, il quale ripetè spesso che "chi è senza peccato fra voi, scagli la pietra", sono dai molti, e dai politici in primis, non solo disattesi ma traditi: massime da coloro, i più colpevoli, che si cingono i fianchi della veste immacolata del battesimo, si professano cristiani e spargon voci di comportarsi come tali. Mentre l’apostolato non ha affatto bisogno di trombe, né di fanfare: opera nel silenzio e nella preghiera, quella del cuore prima, le altre –chi vi crede- solo poi.
"Esiste una sola morale, come esiste una sola geometria. Mi si opporrà che la maggior parte degli uomini ignora la geometrìa. E’ vero, ma ogni uomo se appena la studia un po’, vi si trova d’accordo. Così gli agricoltori, i manovali, gli artigiani, non hanno mai seguito dei corsi di morale, non hanno mai letto il De finibus di Cicerone, né le varie Etiche di Aristotele: ma non appena riflettono un po’ sull’argomento, diventano senza saperlo discepoli di Cicerone: il tintore indiano, il pastore tartaro e il marinaio inglese, riconoscono allo stesso modo il giusto e l’ingiusto… La morale non sta nella superstizione, e neppure nelle cerimonie; e non ha niente di comune coi dogmi. Non ripeteremo mai abbastanza che mentre i dogmi delle religioni sono diversi fra loro, la morale è la medesima fra tutti gli uomini che sanno far uso della ragione. La morale ci viene dunque da Dio, come la luce. Le nostre superstizioni non sono che tenebre. Rifletti, o lettore: applica questa verità, e traine le conseguenze". E’ la voce "Morale" del Dizionario filosofico del Voltaire, datata 1764: mai cronologia fu più aleatoria, essendo cotali sacrosante parole universali per tutti i popoli e valide per ogni essere umano che abbia il concetto del bene e della rettitudine ben levigata a colpi di squadra e mazzuolo.
Laddove un filosofo illuminato nel gran secolo, il Settecento, ha indicato la via, oggidì solo scampoli di coloro che crédonsi gli epigoni, possono portarne la fiaccola. Le conciliazioni importantissime e grandiose che la Chiesa (dal Concilio Vaticano II) e gli esponenti del mondo della Luce senza tramonto, per usare un eufemismo, consentirono al fine di impostare senza tentennamenti un cammino comune, le cui linee maestre forse permangono ascòse, perché tempi di fanatismi ora sono evidentemente emersi, rappresentano pur sempre la fiaccola intramontabile, l’arca dell’Alleanza del buon fine dei popoli. Pure, non mancherà di tornare il sereno, e dall’alto come dal basso l’Etica sarà la guida di capi, di popoli e di chiese. Come era un tempo, sin dall’inizio dei tempi, secondo la legge di Melchisedek.


Bar.Sea. (Francesco Giordano)


Pubblicato su Sicilia Sera n° 331 del 1 agosto 2010

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