mercoledì 10 febbraio 2010

La difesa di Malta nell'ultima guerra











L’isola fortificata era contro di noi

La Malta britannica che non fu occupata dall’Asse


Nonostante piani circostanziati e preparativi notevoli, i governi italiano e tedesco non vollero effettuare l’occupazione dell’isola – La determinazione eroica dei maltesi, premiati dal Re Giorgio -


Quando si riflette, comparando i documenti del tempo allo scopo di comprendere, oltre il passato, anche le nebulose del futuro, sui motivi che gettarono l’Italia nella grave sconfitta della seconda guerra mondiale, non si può prescindere dal problema di Malta. L’isola, o meglio l’arcipelago, al centro del Mediterraneo, come è noto colonia e perla di Sua Maestà Britannica in quegli anni, riescì a difendere se medesima dai feroci e potentissimi attacchi delle aviazioni italiana prima e tedesca poi, in conseguenza di un piano finalizzato alla invasione. Che non ci fu, e costituì il più tragico errore, come è stato anche di recente da pubblicazioni competenti stabilito, degli alti comandi dell’Asse. Realtà che era chiara anche al Governo inglese, in quei cruciali periodi guidato da Winston Churchill.
Che Malta fosse indifendibile, proprio per la sopravvalutazione che delle FF.AA. italiane si faceva oltre Manica sin dagli anni Trenta, secondo l’interpretazione dei governi inglesi, come per evidente difficoltà pratica di rifornire l’isola in tempo di guerra, risultò chiaro sin dal confilitto italo-etiopico del 1935-36, che vide contrapposte, allora solo politicamente, la Gran Bretagna e l’Italia; temendo una guerra, Londra sgomberò le forze aeronavali da Malta nell’agosto 1935, trasferendole ad Alessandria d’Egitto. Anche dopo pochi mesi dalla guerra dichiarata da Hitler a Francia ed Inghilterra, i memorandum dell’alto comando britannico proclamavano indifendibile l’isola mediterranea, pur fortificata dalla Natura, nonché munita di ciclopiche mura costrùtte dai Cavalieri di San Giovanni. Pure i comandi italiani stilavano per tempo dei progetti di occupazione dell’isola, sin dagli anni Trenta, rimasti allo stato teorico. Fu nel 1940 che si fece evidente, dopo la nostra dichiarazione, improvvida è dir poco, di guerra all’impero Inglese ed alla Francia già sconfitta dai carri armati germanici, l’inderogabilità della occupazione militare dell’isola, pòsta come ognun sa a mezza strada fra la Sicilia e l’allora nostra colonia di Libia, quindi crocevia indispensabile per il trasporto dei convogli, delle armi e munizioni, dei viveri per il fronte africano che stava per divenire incandescente. Persino i tedeschi, nella testimonianza del capo del controspionaggio Ammiraglio Canaris, che disse testualmente "gli italiani sanno mantenere meglio di noi i loro segreti", dalle comunicazioni dell’addetto navale tedesco a Roma il quale giudicava, dalla propaganda di Mussolini, sicure azioni offensive verso la Corsica, la Tunisia e Malta, non si capacitavano della inazione che nelle prime settimane del conflitto aveva pervaso i vertici politici, circa la mancanza di azioni decisive contro Malta, di cui ognuno si rendeva conto per la vitale importanza strategica dell’isola. Non così inerti gli interessati inglesi, che da subito, provvedendo a guarnire l’isola di ben altri apparecchi che i soli tre aeroplani Gladiator (uno, il Faith, rimane ora nel Museo di Valletta, testimone orgoglioso di quel periodo), di navi e carburante, si rendevano conto della sua sicurezza. Ma anche Churchill, il quale negli anni passati era stato un ammiratore del Fascismo e dello stesso Mussolini, giungendo a sostenerne (negli anni venti) le politiche antibolsceviche, non comprendeva come il Duce potesse limitarsi ai bombardamenti che la nostra Regia Aeronautica effettuava, sin dal giorno dopo l’entrata in guerra, su Malta, con successo evidente ma anche senza effetti decisivi.
La massiccia azione di bombardamento della nostra Regia Marina, ancorata nella rada di Taranto, l’undici novembre di quel fatale 1940, ad opera degli apparecchi inglesi detti ‘Swordfish’, preceduti –e non ostacolati- dai ricognitori Glenn Martin che proprio da Malta si alzavano in volo onde verificare lo stato delle corazzate italiane nel porto pugliese, fu la consacrazione del sentore avuto nel Gabinetto di guerra britannico, della mancanza di volontà –per non dire di cancrene di tradimento, che pure vi furono, e di sentimenti disfattisti, come quelli ampiamente riportati nell’oramai celebre Diario di Galeazzo Ciano, il quale nondimeno seppe con l’onorabilità della morte riscattare comportamenti negativi- da parte degli alti comandi italiani, di contrastare il nemico (vedi la battaglia detta ‘di Punta Stilo’), considerata la mancanza di iniziativa per occupare Malta, continuamente, seppure ad alto prezzo dati i continui nostri attacchi via aerea, rifornita in quel primo periodo di apparecchi Spitfire ed Hurricane, nonché di viveri. Iniziativa italiana che finalmente si vòlle concretizzare solo dopo che, concluso il 1940 tragicamente da parte italiana col disastro di Grecia che costrinse Hitler a venirci in ajuto anche in Africa, la Germania decise di inviare in Sicilia il X Corpo Aereo Tedesco (i cui effettivi erano di stanza in Catania; si pubblicò perfino un giornale in lingua teutonica per loro, "Der Adler from Aetna"), tra il febbraio ed il maggio 1941, il quale effettuava sopra Malta massicci bombardamenti aerei con i celeberrimi Stuka, senza alcun freno ed a bassa quota. Epperò l’occupazione di Creta, fra il maggio ed il giugno del 1941, con corpo di paracadutisti tedeschi provenienti dalla Norvegia, se fu un notevole successo per il Fuhrer, lo impressionò grandemente per le enormi perdite (122 mila uomini e 5 mila annegati) subite, scoraggiandolo dall’intraprendere, come prima si era pensato, l’occupazione da parte tedesca di Malta. Che venne quindi minuziosamente, e finalmente anche nella pratica, non solo studiata ma anche ben preparata dalle forze italiane d’elite, la "Folgore" ed il battaglione "San Marco", tra il febbraio e l’estate del 1942. Nel frattempo, nel novembre 1941 la forza navale di stanza a Malta era stata annientata dalle mine oltreché dai bombardamenti aerei incessanti, e gli arditi della X MAS avevano fatto saltare in aria, entro il munito porto inglese di Alessandria d’Egitto (18 dicembre 1941), le corazzate Valiant e Queen Elizabeth, con azione leggendaria. Era giunto quindi il momento, sanzionato da una riunione in aprile a Berchtesgaden con il Fuhrer dei capi italiani, di occupare prima Malta e poi affondare il ‘grosso’ delle forze corazzate italo-tedesche in Cirenaica e poi verso l’Egitto.
La fase più acuta pertanto della difesa, per il popolo maltese durissimamente provato dai bombardamenti aerei che hanno, come si sa, un tremendo effetto anche psicologico, e della offensiva su Malta, si ebbe nella primavera del 1942, sguarnito il Mediterraneo quasi del tutto dalla Flotta britannica (Churchill chiese ed ottenne una portaerei americana per l’invio dei caccia su Malta, oramai rifornita solo attraverso due sommergibili) e spazzato dagli aerosiluranti italo tedeschi. Ma anche sul fronte britannico non si comprendeva la necessità di difendere Malta ad ogni costo, poiché dalla sua esistenza sarebbe dipesa tutta la guerra, l’intiero apparato dell’Impero inglese. Così Churchill fu costretto ad inviare per telegramma al comandante Auchinleck in Egitto il 10 maggio, allorché questi non si decideva all’offensiva: "Siamo decisi a non lasciar cadere Malta senza che la vostra armata si impegni a combattere con tutte le sue forze per evitarlo. La mancanza di rifornimenti per questa fortezza comporterebbe la perdita di più di trentamila uomini… il nemico, occupandola, disporrebbe di un comodo e sicuro ponte per l’Africa con tutte le conseguenze che inevitabilmente ne deriverebbero… paragonati alla certezza di questi disastri, i rischi circa la sicurezza dell’Egitto sono di gran lunga inferiori…". L’ultima frase è illuminante sulla consapevolezza che a Londra si aveva della situazione. Non così a Berlino: espugnata Tobruk in giugno, il rinvio della occupazione dell’isola (l’operazione Hercules) e la fuga di Rommel verso El Alamein, l’euforìa da ciò generata, salvarono Malta che era allo stremo, letteralmente. "Si è ora sorpassato il limite della resistenza umana", scriveva il governatore dell’isola in quei giorni, "ed è ovvio che il peggio può accadere, se non possiamo soddisfare le nostre vitali necessità, soprattutto di farina e di munizioni…". Sua Maestà il Re Giorgio VI ne fu tanto colpito da conferire il 15 aprile alla popolazione di Malta la più alta onorificenza, la Gorge Cross, "to bear witness to heroism and devotion…". L’insipienza dei vertici tedeschi ed italiani, la loro illusionistica cecità di fronte a quella che lo stesso Hitler chiamò "la dea della fortuna che passa solo una volta", ma forse era fatale, creò l’impensabile: Malta non fu invasa, e resistette, oltre ogni limite.
La sconfitta dell’Asse dal novembre 1942 divenendo completa, faceva cessare i bombardamenti sull’isola che, l’undici settembre del 1943 in ottemperanza all’armistizio di tre giorni prima, riceveva nel porto di Valletta la semi intatta flotta navale italiana, "che è all’ancora sotto la vigilanza dei cannoni della fortezza", scriveva con orgoglio l’ammiraglio Cunningham. Era il tramonto della nostra gloriosa Marina ma anche la realtà di una situazione assurda che avrebbe potuto non esistere, se le volontà troppo umane, lo avessero consentito.


Barone di Sealand, ovvero Francesco Giordano

(pubblicato su Sicilia Sera n°318 del 5 giugno 2009; nella foto, un sommergibile inglese nel porto della Valletta)

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